Storie Web lunedì, Maggio 6
Notiziario

Nei giorni scorsi, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha chiesto al Congresso di approvare uno stanziamento da 1,2 miliardi di dollari per lanciare la Global Health Security Strategy, un progetto finalizzato ad aiutare una cinquantina di paesi nel monitoraggio, nel tracciamento e nel sequenziamento dei patogeni, e nella predisposizione delle risposte in caso di epidemie. L’iniziativa è, anche, la conseguenza del fatto che il trattato siglato nel 2022 da tutti i 194 paesi aderenti all’Onu, che avrebbe dovuto porre le basi per un approccio completamente nuovo al rischio pandemico, non ha avuto quasi seguito.

Il caso dell’allevatore infettato in Texas

Intanto le infezioni continuano a minacciare l’umanità. Ultima arrivata in ordine di tempo è la dengue che, veicolata dalle zanzare del genere aedes aegypti , sta flagellando il Sud America, e che è da tempo giunta anche a latitudini dove fino a pochi anni fa era praticamente sconosciuta, Italia compresa. Intanto l’influenza l’aviaria diventa ogni anno più preoccupante, per il rischio di possibili spillover. Ed è da uno di questi, il caso dell’allevatore infettato in Texas, che partono le considerazioni di David Quammen, autore di «Spillover» (pubblicato in Italia da Adelphi), il libro che nel 2012 ha raccontato al mondo perché era necessario prepararsi alla pandemia che sarebbe arrivata, e poi di «Senza Respiro» (anch’esso Adelphi), un’indagine sulle possibili origini del Covid.

«Non esiste saluta umana distinta da quella animale»

Per contenere i rischi, nelle fattorie interessate si prendono, anche, due tipi di provvedimenti: si evitano le visite non necessarie, e si tagliano gli alberi. Un esempio perfetto dell’assurdità di certe pratiche, secondo Quammen. «Vietare le visite alle aziende lattiero-casearie è del tutto sensato – spiega al Sole 24 Ore – Al contrario, abbattere gli alberi per impedire agli uccelli selvatici di volare vicino alle mucche, è un patetico riflesso di come continuiamo ad anteporre i bisogni umani di carne e latticini ottenuti con gli allevamenti intensivi a tutto il resto. Invece, dovremmo sempre tenere a mente l’approccio One Health: non esiste una salute umana distinta da quella animale e da quella dell’ecosistema. È tutto One Health, un’unica salute o, per meglio dire, un’aggrovigliata assenza di salute».

Agricoltura e zootecnia più intensive

Purtroppo, però, non stiamo affatto andando in quella direzione, anzi, e non sembriamo aver imparato granché dalla crisi del 2020. «Stiamo andando verso un’agricoltura e una zootecnia ancora più intensive. Anche se si stanno facendo sforzi per incoraggiare alcune produzioni locali e per sostenere le aziende agricole a conduzione familiare e quelle biologiche, si tratta di piccole realtà. I colossi dell’agroalimentare continuano a dominare – e, sospetto, domineranno sempre più – la produzione di cibo – soprattutto di carne – in tutto il mondo».

Opinione pubblica disinformata

Da questo punto di vista, quindi, la consapevolezza del ruolo delle enormi concentrazioni di animali nella diffusione delle patologie infettive e nella crisi climatica non ha fatto breccia nella sensibilità delle istituzioni. I motivi sono numerosi, ma Quammen ne individua uno che ne spiega numerosi altri, e che, a sua volta, è un’eredità avvelenata della pandemia: «Molto è cambiato dopo il Covid. Qualcosa in meglio: per esempio, abbiamo sviluppato sistemi per la produzione rapida di nuovi vaccini. Ma assai di più in peggio: l’opinione pubblica è più negativa che mai nei confronti della scienza. Rispetto al 2019, oggi è più confusa e ignorante su cosa sia, che cosa faccia e come funzioni, anche a causa di persone ciniche e disinformate che purtroppo hanno avuto un grande seguito. E questo è tragico, deplorevole e pericoloso». Perché se non si possono mobilitare le opinioni pubbliche facendo leva su ciò che ha scoperto la scienza, la lotta per il cambiamento diventa quasi disperata.

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