Eletto Papa, un principe della Chiesa può modificare il suo stemma cardinalizio.
Il nuovo pontefice Robert Francis Prevost ha scelto, invece, di mantenere invariati motto e motivi iconografici che già caratterizzavano la sua insegna di porporato. Tuttavia, al posto del cappello rosso – il cosiddetto galero con 15 nappe rosse – che sovrastava lo scudo, appaiono ora la tiara, il pallio e le due chiavi di San Pietro. Incrociate a formare una X, rappresentano la duplice natura del potere conferito da Cristo al primo degli apostoli. La chiave d’oro è simbolo del potere spirituale della Chiesa cattolica di perdonare i peccati e di aprire le porte del Paradiso; la chiave d’argento è simbolo dell’autorità papale sulla terra e sullo Stato del Vaticano, di cui è monarca assoluto, con pieni poteri legislativo, esecutivo e giudiziario.
Il pallio di finissima lana bianca, decorata con sei croci nere di seta, è un paramento liturgico di grande significato simbolico. Rappresenta, infatti, l’agnello che il buon pastore porta sulle spalle, alludendo al compito del Papa di proteggere il popolo di Dio e di guidarlo verso la salvezza a costo della propria vita (le croci nere).
Nello stemma, dunque, diviso diagonalmente in due settori, si staglia in alto a sinistra un giglio stilizzato bianco in campo azzurro; indica purezza e innocenza e nell’araldica ecclesiastica è spesso associato alla Vergine Maria. In basso a destra, su un fondo chiaro colore avorio, è rappresentato un libro chiuso sul quale è posto un cuore rosso trafitto da una freccia. L’immagine richiama quella dell’Ordine religioso degli agostiniani, al quale appartiene Papa Leone XIV.
Il libro chiuso sta a indicare il mistero della Verità che si rivela a poco a poco, tema centrale nella teologia di Sant’Agostino il quale, nelle sue Confessioni, parlò di cor inquietum (cuore inquieto): «Ci hai creati per te, Signore, e il nostro cuore sarà inquieto finché non troverà riposo in te» mentre, a proposito della sua conversione, scrisse: «Hai trafitto il mio cuore con la tua Parola».