Storie Web lunedì, Maggio 20
Notiziario

La soluzione annunciata per i pannelli nei terreni agricoli non rassicura affatto l’industria del settore. «Questa scelta mette l’Italia in una situazione di grande imbarazzo, perché non raggiungeremo gli obiettivi comunitari, quelli relativi al Pnrr, faremo meno di un decimo degli obiettivi sottoscritti nel G7 energia. Invece di aumentare l’indipendenza energetica dell’Italia, la esponiamo alle minacce e all’instabilità geopolitica che stiamo vivendo».

Agostino Re Rebaudengo, presidente di Elettricità Futura, non è affatto persuaso dalle rassicurazioni del ministro per l’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, quando afferma che consentendo solo agli impianti agrivoltaici (sospesi due metri da terra per consentire di fare sotto le coltivazioni) di essere realizzati nei terreni agricoli si potranno raggiungere i target previsti dal Pniec di nuovi 40 gigawatt installati entro il 2030. «Le cose – commenta – non stanno così. Premesso che non credo che si possa arrivare nemmeno a quell’obiettivo partendo da queste basi, va ricordato che l’ultima bozza del Pniec per il 2023 inviata a Bruxelles, alla quale il ministro si riferisce, prevede numeri che tutte le associazioni, anche Confindustria Energia, Legambiente, Wwf, hanno già fatto notare che non consentiranno di raggiungere i target della decarbonizzazione. Sono numeri ancorati agli obiettivi del 2019, quando si prevedeva una riduzione delle emissioni complessive del 40%. Oggi sono stati elevati (anche dalle direttive che l’Italia ha recepito, ndr) al 60 per cento. Ricordo che l’Italia si è impegnata, nel G7 energia, a fare ulteriori 140 gigawatt rispetto ai nuovi target».

Molti si chiedono perché l’agrivoltaico dovrebbe essere meno gradito agli operatori rispetto al fotovoltaico a terra. «Si tratta di pannelli elevati rispetto al terreno di due metri per consentire di fare sotto le coltivazioni. È una complessità e un costo aggiuntivo che non porta valore a terreni che sono comunque incolti. Ci sono decine di migliaia di ettari che, pur essendo a destinazione agricola, non sono coltivati. Per l’operatore significa avere un costo raddoppiato dell’impianto. L’elevazione da terra aumenta le problematiche per il vento, per la tenuta e anche per l’impatto visivo. È possibile, a questo punto, che tutte le autorizzazioni richieste fino a oggi, con l’introduzione della nuova norma, si trasformino da impianti a terra ad agrivoltaici. Quale sarà il risultato finale per il paese? Per realizzare gli impianti si spenderà più del doppio e questo comporterà che alla fine l’energia elettrica costerà di più. Ci metteremo più tempo, perché tutte le autorizzazioni dovranno essere richieste di nuovo per l’agrivoltaico. Spenderemo di più, aumenteremo l’impatto visivo degli impianti e l’energia elettrica sarà più cara. Mentre una grande quantità di terreni agricoli resterà inutilizzata. Per raggiungere i 140 gigawatt previsti dall’impegno nel G7 energia ci servirà meno dell’1% dei terreni agricoli; oggi il terreno occupato è pari allo 0,1 per cento. Significa che per raggiungere quei target dobbiamo fare dieci volte di più rispetto agli impianti che abbiamo adesso», spiega il presidente. Per il quale il rischio, non raggiungendo gli obiettivi, è quello di far fare all’Italia «in Europa e nel mondo una figura pessima». L’associazione, in ogni caso, non si dà per vinta. «Mi auguro che nella democratica e costruttiva interazione parlamentare si arrivi a un’analisi più approfondita. Vedere queste prese di posizione, mentre poi si assicura che i problemi dell’energia si risolvono con una quarantina di impianti nucleari nel paese fa un certo effetto ha chi ha ha pianificato investimenti basandosi sul presupposto del legittimo affidamento e sugli impegni preso dall’Italia nel mondo. Così non andiamo nella direzione che tutta l’industria vuole: avere un’energia più competitiva», chiosa.

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