Storie Web domenica, Maggio 19
Notiziario

Negli ultimi 18 mesi il mercato immobiliare italiano ha evidenziato segnali di appannamento, con una flessione della domanda di acquisto che si è tradotta in una riduzione delle compravendite nell’ordine del 10%. Si tratta di una battuta d’arresto ampiamente prevedibile alla luce delle mutate condizioni macroeconomiche e dell’esaurirsi della spinta post pandemica, che aveva alimentato una straordinaria propensione al miglioramento della condizione abitativa dopo gli affanni di una stagione che aveva ridisegnato esigenze, abitudini e priorità.

A ben guardare, tuttavia, i riflessi sull’attività transattiva non scaturiscono da un cambiamento delle intenzionalità delle famiglie, ma dalla drastica riduzione del potere di acquisto di una quota rilevante di esse. Se l’inconsistenza degli adeguamenti salariali a fronte della fiammata inflattiva è un fenomeno acclarato, non altrettanto si può dire con riferimento all’orientamento delle banche nella concessione del credito. Ricondurre a un’autonoma flessione della domanda la notevole flessione delle erogazioni di mutui riflette una visione che trascura il peso dell’offerta nell’orientamento del mercato. I budget degli istituti destinati ai mutui sono stati tagliati, le campagne commerciali silenziate, la moral suasion a favore di investimenti (da effettuare o da promuovere) apparentemente meno rischiosi fortemente potenziata. Il concomitante corposo incremento degli acquisti di titoli di Stato avvenuto nel periodo non può ritenersi privo di collegamenti rispetto all’evoluzione delle dinamiche creditizie.

Il ruolo della Bce

Ritenere si sia trattato dell’esito di scelte scevre da condizionamenti appare poco coerente con le modalità di funzionamento dei nostri mercati finanziari, in un contesto in cui i tagli degli acquisti da parte della Bce avevano innescato timori di una crisi sistemica per i Paesi altamente indebitati. Non è, dunque, alle libere determinazioni della domanda che si può ricondurre la brusca contrazione delle transazioni immobiliari sostenute da mutuo, né tantomeno a un’impennata degli indicatori di rischiosità del credito già erogato, che si collocano tuttora su livelli pari a circa 1/3 rispetto a quelli di 15 anni fa. Le preoccupazioni sulla sostenibilità delle nuove posizioni indotte dalla repentina ascesa dei tassi costituiscono una componente di una narrazione intenzionalmente parziale.

Che l’acquisto di immobili residenziali presenti ancora elementi di interesse, nonostante l’ascesa dei valori degli ultimi anni, non sono unicamente le rilevazioni di sentiment ad attestarlo, quanto le scelte operate da coloro che dispongono di risorse finanziarie sufficienti per operare senza necessità del supporto bancario. Se, infatti, si suddivide l’andamento delle compravendite residenziali dell’ultimo anno nelle due componenti, quella alimentata unicamente da risorse proprie e quella sostenuta da credito, ci si rende conto della dicotomia, con la prima che ha continuato a crescere nell’ordine del 4,8% e la seconda che ha subito un tracollo del 26%. Seppure più contenuto rispetto a quello della maggior parte degli altri Paesi europei (si consideri al proposito l’incidenza dello stock di mutui rispetto al Pil), il livello di finanziarizzazione del mercato immobiliare italiano è evidente sia enormemente cresciuto.

Decisivo l’approccio delle banche

L’approccio delle banche alla concessione del credito, più ancora del livello dei tassi di interesse, rappresenta il principale fattore di orientamento del mercato residenziale. Ed è per questo motivo che sarà più all’aggressività delle campagne commerciali sui mutui che all’imminente taglio dei tassi che bisognerà guardare per capire se è davvero iniziato il percorso di risalita.

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