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Notiziario

La battaglia sul fine vita si sposta ancora una volta sul piano nazionale e potrebbe vedere nei prossimi mesi un braccio di ferro tra Governo e diverse Regioni. Ad innescare questo duello le regole operative che l’Emilia-Romagna si è data a febbraio per sopperire a un vuoto normativo sul suicidio assistito. Contro la Regione guidata da Stefano Bonaccini il governo, con la presidenza del Consiglio e il ministero della Salute, ha presentato un ricorso al Tar per bloccare le delibere della Giunta che individuavano, fra le altre cose, le linee guida per le aziende sanitarie locali, con iter e tempi per le eventuali richieste di suicidio medicalmente assistito. Ma oltre l’Emilia ci sono altre Regioni che stanno lavorando a questo dossier visto che in assenza di una legge nazionale mancano le regole operative per dare concreta attuazione alla decisione della Consulta che di fatto ha sancito il diritto al suicidio assistito

La situazione attuale in Italia dopo la sentenza della Consulta

Sono quattro finora le persone che hanno ottenuto l’accesso alla morte volontaria assistita in Italia, 3 delle quali seguite dal collegio legale dell’Associazione Luca Coscioni. Il primo, nel giugno del 2022, è stato Federico Carboni, che non ha ricevuto alcuna assistenza del Servizio sanitario nazionale ed è morto dopo oltre 20 mesi di attesa e di battaglie giudiziarie nei tribunali. Nel luglio del 2023 in Veneto, invece, ’Gloria’ è morta con un farmaco e un macchinario forniti dal Ssn. La prima persona ad essere stata assistita completamente dal servizio sanitario nazionale è ’Anna’, di Trieste, morta nel dicembre 2023. Infine, in Toscana, qualche mese fa a Piombino (Li) ha ottenuto l’aiuto alla morte volontaria. Oggi i pazienti, molto spesso malati terminali, sono costretti ad appellarsi ai tribunali per avere un risposta dalle Asl che in assenza di regole precise non sanno come comportarsi. E così il fine vita in Italia resta ancora un tortuoso percorso a ostacoli difficili da aggirare con pochissimi casi arrivati in fondo. Il vulnus è sempre quello e cioè un vuoto legislativo diventato ormai una voragine dopo la sentenza 242 del 2019 della Corte costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità di una parte del Codice penale che condanna l’assistenza al suicidio medicalmente assistito

Il vuoto della legge nazione e il pressing delle Regioni

In Italia l’eutanasia costituisce reato mentre è sancito dalla sentenza della Consulta il diritto al suicidio assistito, in cui è il paziente ad autosomministrarsi il farmaco letale e non un medico, quando ricorrono alcune condizioni: che il malato sia affetto da malattia irreversibile, che questa patologia sia fonte di intollerabili sofferenze, che il paziente sia capace di prendere decisioni libere e consapevoli e infine che il paziente sia dipendente da un trattamento di sostegno vitale: mentre all’inizio si intendeva con questo termine solo alimentazione, respirazione e idratazione, più tardi è stata riconosciuta dai tribunali anche la chemioterapia. Il nodo riguarda il fatto che se il percorso sul fine vita è già stato definito dalla sentenza del 2019 non altrettanto definite sono le tappe e gli adempimenti che il paziente che vuole ricorrere al suicidio assistito deve seguire. Mancando una legge nazionale che disciplini questi passaggi le Regioni hanno deciso di intervenire: «Oggi, anche in assenza di una legge nazionale, chi vive in condizioni di sofferenza fisica o psicologica insopportabile ha già diritto a ottenere aiuto medico alla morte volontaria, il cosiddetto suicidio assistito, per garantire tempi certi per la procedura di verifica e attuazione previsti dalla Corte costituzionale può bastare una legge regionale», assicura l’associazione Luca Coscioni.

Il caso dell’Emilia Romagna finita nel mirino del Governo

A disciplinare nel dettaglio il percorso di fine vita con due delibere finite nel mirino del Governo che ha deciso di fare ricorso al Tar chiedendo l’annullamento «per carenza di potere» è stata finora soltanto l’Emilia Romagna: il 9 febbraio scorso la Giunta Bonaccini ha completato il percorso per l’applicazione della sentenza Dj Fabo/Cappato istituendo il Comitato regionale per l’etica nella clinica fra i cui compiti ci sono – precisa la Regione – «la consulenza etica su singoli casi, l’espressione di pareri non vincolanti relativi a richieste di suicidio medicalmente assistito e agli aspetti bioetici connessi alle attività sanitaria e socio-sanitaria». Inoltre sono state redatte le Istruzioni tecnico-operative inviate dall’Assessorato alle Politiche per la salute alle Asl: linee guida con le indicazioni operative per la gestione delle richieste di suicidio medicalmente assistito, dal ricevimento della richiesta del paziente e per tutto il percorso, attraverso l’istituzione di apposite Commissioni di valutazione di Area Vasta.

In Campania partito l’esame, stop in Friuli, Piemonte e Veneto

In Campania lo scorso marzo due consiglieri regionali (Luigi Abbate e Maria Muscarà) hanno depositato la proposta di legge. L’11 aprile la Commissione Sanità e Sicurezza Sociale del Consiglio regionale ha incardinato l’esame della proposta ed ha deciso di costituire un tavolo per procedere ad un approfondimento tecnico giuridico della materia. In Friuli ad agosto 2023, con oltre 8.000 firme sulle 5.000 necessarie, nella regione guidata da Massimiliano Fedriga è stata depositata la proposta di legge. Il 10 aprile scorso questa è stata discussa e respinta dalla terza commissione regionale con motivazioni non attinenti al contenuto della proposta di legge. In Piemonte invece la proposta è stata depositata per via popolare con 11mila firme sulle 8mila necessarie. Dopo un paio di mesi di audizioni degli esperti, il testo è arrivato in Aula il 22 marzo scorso. Il Consiglio Regionale, con 35 votanti (22 favorevoli, 12 contrari e 1 astenuto) ha votato favorevolmente la “questione pregiudiziale di costituzionalità” posta dalla maggioranza, un tecnicismo – seppur consentito dal regolamento – utilizzato in modo strumentale per non permettere di discutere nel merito la proposta, nonostante questa fosse già stata ritenuta ammissibile dalla Commissione di garanzia del Consiglio regionale con decisione ratificata dall’Assemblea a novembre 2023. La maggioranza che sostiene il Presidente Cirio ha così vanificato le firme dei cittadini piemontesi. Il Veneto poi è stata la prima Regione a discutere la legge depositata con 9.000 firme sulle 7.000 necessarie. La discussione è avvenuta il 16 gennaio scorso. Con 25 voti favorevoli, 22 contrari e 3 astenuti, il Veneto non ha approvato la legge. Per l’approvazione era necessaria la maggioranza assoluta: su 50 presenti, servivano 26 sì.

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