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Conflitto Israelo-Palestinese



26 Aprile 2024



13:57

Il racconto da Rafah di Sami, cooperante di ACS, a Fanpage.it: “Siamo tutti ammassati, la città non esiste più, non abbiamo servizi, ci sono pochissime reti di acqua, la situazione sanitaria è gravissima, i bambini stanno sviluppando diverse malattie per la mancanza di acqua e per le condizioni igienico-sanitarie pessime”.

Decine di tank israeliani accerchiano Rafah. Al di là del confine si fatica a camminare tra le tende. Una accanto all’altra si susseguono quelle che da quasi otto mesi ormai sono le case temporanee di un milione e mezzo di esseri umani in fuga dall’avanzata dell’esercito di Tel Aviv. “Siamo tantissimi, qui a Rafah vivono più di trecentomila famiglie al momento. La situazione è ogni giorno più tragica”, racconta con voce stanca Sami, cooperante di ACS, dal suo cellulare.

“Siamo tutti ammassati, la città non esiste più, non abbiamo servizi, ci sono pochissime reti di acqua, la situazione sanitaria è gravissima, i bambini stanno sviluppando diverse malattie per la mancanza di acqua e per le condizioni igienico-sanitarie pessime. Molti bimbi da settimane hanno i pidocchi e le pulci. La situazione andrà solo a peggiorare, soprattutto se l’esercito israeliano invaderà Rafah”.

Qui arrivano pochissimi aiuti umanitari, entrano col contagocce, sono troppo scarsi e troppo lenti, ma al nord – ricorda Sami – non ne entrano proprio. Nonostante ciò Sami insieme ad altri cooperanti portano avanti diversi progetti nella Striscia.

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“Qui a Rafah abbiamo una cucina popolare con la quale cuciniamo pasti caldi per circa quattro mila persone al giorno. Prima lavoravamo con Word Central Kitchen, ma dopo che Israele ha ucciso sette dei suoi volontari l’Ong ha fermato tutte le attività che avevano dentro la Striscia”, continua. ACS insieme a Gaza Freestyle e al Centro Italiano di scambio culturale, anche grazie alle donazioni, continua a pagare gli stipendi e le spese delle cucine popolari.

“Oltre alle cucine – continua – portiamo avanti un progetto di supporto psicologico per i bambini. Abbiamo diversi volontari e volontarie che ogni giorno si travestono, cantano, giocano con i bambini e le bambine che stanno a Rafah”.

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A circa trenta chilometri di distanza più a nord, a Gaza City, a Nuseirat e a Deir Barat, ACS e i suoi operatori gazawi hanno creato gli “alberi della rete”. “Gli alberi della rete sono hot-spot che spuntano nei coni d’ombra delle zone di conflitto e irradiano segnali Wi-Fi liberi, accessibili da tutti. – spiega Sami – i telefoni ad alta tecnologia come gli ultimi Iphone o Samsung, con dentro una E-sim elettronica, dopo essere stati ricaricati nell’albero della rete riescono a fare da router a 30 dispositivi diversi che a loro volta possono farlo ad altri tre”.

Tramite gli alberi della rete si riesce ad aggirare i blackout di internet e condividere connessioni gratuite nelle aree difficili della Striscia. Così Gaza riesce ad essere connessa col resto del mondo, i giornalisti dentro la Striscia riescono a condividere ciò che succede, gli operatori umanitari a parlare tra di loro e con chi ha bisogno di immediato soccorso, ma soprattutto i gazawi riescono a mantenere vivi i legami affettivi. Le comunicazioni con chi si trova in altre parti della Striscia fanno da argine per impedire che anche le relazioni umane vengano ridotte in ricordi dalla guerra.

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