Il vino italiano esportato negli Usa non è un “bene di lusso”, non rappresenta una nicchia ad alto valore aggiunto e quindi con margini per assorbire i dazi Usa. È invece un prodotto popolare e che quindi ha molto da temere dalle minacce di Trump. A scendere in campo è l’Unione italiana vini che punta a fare chiarezza dopo che da più parti si è fatta largo l’idea che il vino italiano poiché prodotto premium e con un prezzo medio elevato abbia maggiori possibilità di assorbire i dazi.
Almeno l’80% del vino made in Italy rischia un vero e proprio salto nel buio – spiegano all’Unione italiana vini – perché si tratta dell’ossatura dell’export italiano verso gli Usa, quasi 2,9 milioni di ettolitri (su un totale di 3,6 milioni) equivalenti a 350 milioni di bottiglie si collocano in una fascia di prezzo che non supera i 4,18 euro al litro franco cantina e che – dopo trasporti, dazi, ricarichi alla distribuzione – non supera i 13 dollari la bottiglia.
Secondo le stime dell’Osservatorio Uiv quindi, un dazio al 25% comporterebbe un danno diretto per l’export di vino italiano di 470 milioni di euro senza contare quelli indiretti sull’export globale (ad esempio un calo del Pil tedesco sulle auto indotto dai dazi Usa frenerebbe anche la domanda di vino italiano in Germania) che potrebbero spostare il conto dei danni a quasi un miliardo di euro.
Esiste la fascia dei vini luxury e ci sono tra questi anche alcune etichette italiane, ma si tratta di un segmento – aggiungono all’Uiv – che copre il 2% dei volumi di export (e l’8% a valore).
«Il vino italiano negli Usa – ha commentato il presidente dell’Unione italiana vini, Lamberto Frescobaldi – vale circa 2 miliardi di euro con una quota del 24% sul totale mondo delle nostre spedizioni ed è composto da prodotti fortemente identitari che unitamente a un vincente rapporto qualità-prezzo hanno contribuito al successo del made in Italy enologico. La spina dorsale è questa e rappresenta primariamente un posizionamento di fascia media, con possibili fluttuazioni di prezzo dettate dai dazi che espongono l’offerta a possibili migrazioni della domanda. Secondo Uiv – ha aggiunto Frescobaldi – è molto importante poter agire con un “piano di contingenza” basato su 3 livelli: il primo, negoziale, volto a non inserire il vino nelle reciproche liste di prodotti soggetti a barriere commerciali; il secondo, comunitario, che metta a punto misure compensatorie e di promozione; il terzo è nazionale e dovrà inevitabilmente affrontare il tema del contenimento produttivo”.