Storie Web sabato, Maggio 11
Notiziario

Orban – sempre più isolato in Europa, come dimostrano anche i contrasti con Bruxelles sui fondi per la ripresa, sui migranti, sugli aiuti all’Ucraina – si appresta a ricevere la visita di Xi Jinping e spera nel ritorno di Donald Trump per avere una sponda alla Casa Bianca: due giorni fa è volato in Florida e the Donald lo ha accolto come «un grande leader con il quale fare grandi cose», al contrario di Joe Biden che invece lo considera «un aspirante dittatore».

Ma in casa deve fare i conti con il fenomeno Magyar, che per storia personale e carriera politica, sembra avere i titoli per sfidare l’attuale regime: a lungo del gruppo più ristretto dei consiglieri di Orban, fino all’anno scorso marito della ministra della Difesa (oramai ex) Judit Varga, Magyar ha lasciato il Fidesz a febbraio accusando il governo di corruzione e svelando, dall’interno, i meccanismi della macchina di propaganda di Orban. Alla fine di marzo, ha pubblicato la registrazione di una conversazione con Varga, ai tempi del loro matrimonio, in cui lei descriveva dettagliatamente un tentativo da parte degli assistenti di Orban di interferire in un caso di corruzione, sul quale ora sta indagando la magistratura.

Nonostante Orban e i suoi stiano cercando in tutti i modi di screditarlo, gli ultimi sondaggi attribuiscono a Magyar il 13% delle intenzioni di voto: il Fidesz è lontano, sempre sopra il 40%, ma nella maggioranza al potere qualche crepa si sta aprendo. Ancora di più dopo lo scandalo di abusi sessuali che ha convinto Orban a sacrificare, all’inizio dell’anno, due figure di rilievo del regime: addirittura la presidente della Repubblica, Katalin Novak, e la stessa Judit Varga, capolista designata per le europee, obbligate alle dimissioni per avere concesso la grazia a un uomo colpevole di avere coperto atti di pedofilia in un orfanotrofio.

«Queste turbolenze non rappresentano una minaccia immediata per Orban, ma hanno smascherato l’ipocrisia degli esponenti del governo sui valori della famiglia e rendono meno credibile gli attacchi alla comunità Lgbt+», dice Zsuzsanna Szelenyi, tra i fondatori del Fidesz durante la transizione democratica, uscita dal partito già nel 1994, in totale disaccordo con la svolta nazionalista impressa da Orban, poi più volte parlamentare indipendente. «La gente – continua – sta mostrando grande interesse per le vicende del governo, anche per la politica, c’è una voglia di partecipare, di informarsi che non vedevamo da tempo in Ungheria. Manifestazioni, scioperi e contestazioni ci sono stati in questi anni, ma ora si verificano più frequentemente e coinvolgono sempre più persone».

Szelenyi è anche direttrice della Democracy Institute Leadership Academy nella Central European University, e ci accoglie nelle aule svuotate dell’ateneo messo al bando dal governo del Fidesz perché sostenuto dal finanziere e filantropo George Soros, uno dei nemici dichiarati di Orban. «In Ungheria Orban controlla tutto, dai media alla magistratura e non può più prendersela con nessuno, ma – spiega Szelenyi – ha bisogno di nemici per mantenere il consenso, come tutti gli autocrati. E quindi il nemico diventa l’Europa, anzi, più correttamente, i nemici diventano i leader Ue che siedono a Bruxelles, i cosiddetti tecnocrati che vogliono imporre le loro regole, sui migranti, sulla guerra in Russia, sullo Stato di diritto».

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