Storie Web sabato, Aprile 27
Notiziario

di Roberto Saviano

La storia di Ilaria Salis ormai la conosciamo tutti.

Ilaria è una maestra 38enne, attivista antifascista, che l’11 febbraio del 2023 a Budapest, ha partecipato a una manifestazione contro il cosiddetto Giorno dell’Onore, in cui i gruppi neonazisti ungheresi si ritrovano per celebrare le truppe hitleriane che durante la Seconda Guerra Mondiale si opposero all’assedio dell’Armata Rossa.

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È una manifestazione formalmente vietata, ma di fatto permessa, dal governo ungherese.

Qualche ora dopo quel corteo, Ilaria Salis viene fermata in un taxi con altri due militanti antifascisti tedeschi. Qui abbiamo due versioni: c’è chi dice avesse un manganello retrattile in tasca per difesa personale, c’è chi dice che quel manganello l’avesse in tasca uno degli attivisti tedeschi. Comunque sia, la accusano di quattro aggressioni, due delle quali avvenute mentre lei non era ancora arrivata in Ungheria. Lei si dichiara innocente e i due neonazisti vittime, secondo l’accusa, di un’aggressione potenzialmente mortale – anche se la prognosi è di soli cinque giorni – non hanno nemmeno sporto denuncia.

La procura però chiede 11 anni di carcere. Un’enormità, se pensate che in Italia chi stava rifondando un clan camorrista, solo un mese fa, è stato condannato a cinque anni di galera.

Non bastasse, alla prima udienza in tribunale dal giorno della sua incarcerazione, Ilaria Salis viene condotta in manette a piede e polsi, catene e guinzaglio.
Misure restrittive che nel mondo vengono utilizzate soltanto verso detenuti che hanno compiuto omicidi violenti e dimostrato durante la detenzione, continua aggressività.

Nulla è casuale in Ungheria. E mostrarla in ceppi è stato un messaggio.

Il primo messaggio è alle destre europee. “Io vi difendo contro chi vi attacca”. E non a caso Orban si è subito guadagnato il plauso di Matteo Salvini, che è tra leader di Identità e Democrazia, la sigla che accoglie tra le sue file l’estrema destra francese di Marine Le Pen e quella tedesca di Alternative fur Deutschland.

Per attaccare Ilaria Salis, Salvini riesuma una presunta aggressione a un gazebo della Lega, accusa per cui la maestra era stata completamente assolta. Arrivando a prendersela con lei, anziché con chi l’ha trascinata in ceppi in tribunale e la fa marcire in condizioni disumane nelle carceri ungheresi, dicendo che sia assurdo che faccia la maestra.

Il secondo messaggio è alla politica italiana. Il destinatario è Giorgia Meloni. Che non è solo presidente del Consiglio in Italia, ma è anche presidente di Ecr, il gruppo dei Conservatori e riformisti europei, gruppo in cui Orban vuole entrare dopo le elezioni europee.

Il messaggio a Giorgia Meloni è chiaro: “non osare abbandonarmi”. L’Ungheria è sotto procedura d’infrazione, senza fondi comunitari e in profonda crisi economica. Dopo le elezioni europee, Orban ha bisogno che qualcuno sblocchi i fondi che gli servono per frenare la crisi economica in cui l’Ungheria sta affondando e rinsaldare il suo potere usando quei soldi per arricchire gli oligarchi che a loro volta possiedono gran parte dei media magiari. Orban, in altre parole, ha bisogno di Giorgia Meloni. E mostrare in catene una cittadina italiana, costringe Meloni a negoziare con lui.

Il terzo messaggio è per Ursula von der Leyen, ma a ben vedere per tutta l’Europa. Ed è l’affermazione di un modello, che Orban già dieci anni ha teorizzato apertamente. Quello della democrazia illiberale. Cito le sue parole: “I miei modelli – dice Orban – sono Paesi come Russia, Turchia e Cina, che  “non sono liberal-democrazie e forse neanche democrazie, ma sono di successo”.

“E non credo”, continua, “che la nostra adesione all’Ue ci precluda la possibilità di costruire un nuovo stato illiberale su fondamenta nazionali”. Cina, Russia, Turchia: Paesi in cui l’opposizione è silenziata, i media sono sotto controllo. E la magistratura è diretta emanazione del’autocrate al potere.

Per capire come avviene questo controllo basta analizzare la riforma ungherese del 2020. Che prevede l’istituzione di tribunali speciali nominati direttamente dal ministro della giustizia del governo Orban, che hanno piena giurisdizione sul diritto d’assemblea, sui media, sugli appalti pubblici e sulle elezioni. Attraverso quei tribunali speciali, Orban ha il pieno potere sullo Stato. Tutto questo – nel caso non ve ne foste accorti – succede in Ungheria, nel cuore dell’Unione Europea. Di sicuro se ne sono accorti a Bruxelles, visto che un anno fa, l’Unione Europea ha bloccato circa 30 miliardi di euro di fondi europei diretti in Ungheria, fino a che Budapest non avesse deciso di rispettare l’indipendenza della magistratura.

Forse varrebbe la pena di ricordarlo, a chi dice che la magistratura ungherese è indipendente e agisce in piena autonomia. E forse varrebbe la pena di ricordarlo anche a chi, dall’Italia, ha sempre considerato Orban come un modello

“Solo contro tutti, attaccato dai sinistri fanatici del pensiero unico, minacciato da chi vorrebbe cancellare le radici giudaico-cristiane dell’Europa”, ha detto di lui Matteo Salvini, poco meno di due anni fa. “Congratulazioni a Viktor Orbán per la straordinaria vittoria. Per batterlo non è bastata nemmeno un’accozzaglia elettorale”, gli ha fatto eco Giorgia Meloni prima di partire per Budapest come ospite d’onore in un convegno sulla natalità, e dopo aver ospitato ad Atreju il leader ungherese nel 2019.

La storia di Ilaria Salis la conosciamo tutti, insomma.

Ma quel che succede sul corpo di questa donna non c’entra nulla con quello che avrebbe fatto, o non fatto. È solo l’ennesima mossa del gioco di un autocrate per mettere sotto scacco l’Europa e le sue democrazie. E, oggi, di questo autocrate, Giorgia Meloni, è la più decisiva tra le pedine.

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