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News su migranti e sbarchi in Italia



20 Aprile 2024



14:28

Le autorità italiane devono smetterla di obbligare le Ong a collaborare con la Guardia costiera libica – perché è istigazione a delinquere – e di rinviare ad altri le loro responsabilità. Questo il contenuto della diffida che la Ong Sea Watch depositerà lunedì nei confronti della Guardia costiera. Se la situazione non cambia, potrebbe arrivare anche una denuncia.

Ora le Ong che prestano soccorso alle persone migranti nel Mediterraneo passano al contrattacco, sul piano legale. Ieri è arrivato lo storico proscioglimento delle organizzazioni coinvolte nell’inchiesta della Procura di Trapani sulla presunta attività di “taxi del mare” (arrivato perché il fatto non sussiste, ovvero perché non c’è mai stato un accordo tra Ong e trafficanti di esseri umani). Lunedì, Sea Watch presenterà una diffida nei confronti della Guardia costiera.

Il documento, che Fanpage.it ha potuto leggere, invita le autorità italiane a smetterla di “pretendere” che la Ong “subordini la propria attività di soccorso a ordini impartiti dalla Guardia costiera libica, quando illegittimi o pericolosi”. Il motivo è che si tratta di una vera e propria “istigazione a commettere delitti” dietro la “minaccia di una grave sanzione”. La seconda diffida richiede alla Guardia costiera italiana di non “omettere la propria attività di coordinamento e di soccorso, invocando l’intervento di altre autorità palesemente inerti”: una pratica che mette “a rischio l’incolumità delle persone soccorse”.

Il caso del salvataggio in mare in cui morì un minorenne

La diffida, stilata dall’avvocato Alessandro Gamberini a nome della Ong tedesca, ricorda il caso di un recente salvataggio, effettuato a inizio marzo. La Sea Watch 5 aveva avvistato un’imbarcazione in difficoltà e aveva avvisato le autorità libiche, che non avevano risposto. A bordo c’erano “persone che non avevano a disposizione sufficiente cibo, acqua, né erano in possesso di dispositivi di sicurezza personale o attrezzature adeguate per la navigazione”, di cui quattro “in gravissima situazione medica” perché intossicate dai gas emessi dal motore della barca. Gli stessi libici, arrivati poi sul posto, avevano concordato che le persone migranti andassero trasferite sulla Sea Watch.

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Dopo oltre un’ora dal primo allarme con una richiesta di evacuazione per le persone in condizioni gravi, le autorità italiane si erano limitate a chiedere alla Germania di “assumere il coordinamento delle operazioni di soccorso”. La Germania aveva rimandato alla Tunisia, che la Sea Watch non era riuscita a contattare. Due ore dopo l’allarme, era morto un ragazzo minorenne soccorso dalla Sea Watch.

Rimasta senza alternative, in una situazione in cui “tutte le autorità contattate, incluse quelle italiane, si erano infatti limitate a rinviarsi fra loro la responsabilità per il coordinamento e il supporto medico”, la nave si era diretta verso l’Italia, “l’unico centro di coordinamento raggiungibile”. Il primo supporto era arrivato solo dopo cinque ore dalla prima richiesta di evacuazione. Le autorità italiane avevano lasciato a bordo il cadavere del giovane.

Poi l’Italia aveva indicato il porto di Ravenna, lontanissimo, come destinazione di sbarco. Solo dopo una lunga insistenza, la nave aveva potuto far scendere i sopravvissuti a Rapallo. Il giorno dopo, la Sea Watch 5 era stata messa in fermo amministrativo. L’accusa era di aver rifiutato di coordinarsi dalle autorità libiche. Un fermo annullato dal tribunale di Ragusa venti giorni dopo, con una decisione che contestava l’idea stessa che il salvataggio in mare si possa considerare un “illecito amministrativo”.

Cosa chiede la Sea Watch alla Guardia costiera italiana

L’evacuazione, si legge nella diffida, è stata “ritardata in modo ingiustificato, nonostante le motivate e reiterate richieste d’intervento avanzate da parte di Sea Watch”. E questo spiega la seconda richiesta, quella di non “omettere la propria attività di coordinamento e di soccorso“. Per quanto riguarda il coordinamento con la Libia, il testo ricorda che la Corte di Cassazione di recente ha stabilito che “il rimpatrio verso la Libia dei migranti costituisce reato”, perché in Libia “la vita, l’integrità psico-fisica e la libertà personale dei migranti sono esposte ad ogni genere di minaccia e abuso”.

Da qui la seconda diffida: basta “continuare a pretendere che l’Ong Sea Watch subordini la propria attività di soccorso a ordini impartiti dalla Guardia Costiera libica“, perché spesso è un’istigazione a delinquere. In fondo alla diffida si legge che, se le autorità italiane continueranno nella loro condotta, la Ong si riserva “ogni iniziativa” sul piano legale. Presto, quindi, potrebbe arrivare anche una vera e propria denuncia.

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