Storie Web lunedì, Giugno 24
Notiziario

Quasi 34 kg di CO2 immessi nell’atmosfera, un consumo di 3.781 litri di acqua e di 12 metri quadri di terreno: è questo l’impatto ambientale della produzione di un paio di jeans secondo uno studio del 2022 dell’università di Groninga, per cui l’1% delle emissioni globali di gas serra è imputabile a questa industria, che si stima produca ogni anno circa 2 miliardi di paia.

Un’impronta ecologica enorme, che pone urgenti sfide a tutta la filiera, dalla coltivazione del cotone a un consumo responsabile: «Produrre un denim di qualità comporta impegnarsi in una produzione eco-responsabile», ha sottolineato Florence Rousson, presidente del Consiglio Direttivo di Première Vision, salone internazionale dei tessuti per abbigliamento, che due volte l’anno organizza a Milano Denim Première Vision, salone dedicato all’innovazione in questa categoria, appena chiuso negli spazi di Superstudio Più con oltre 2mila visitatori provenienti da 41 Paesi, attratti dalle novità delle 80 aziende internazionali ospiti e rappresentanti dell’intera filiera, dai filatori agli esperti del finissaggio fino ai creatori di nuove tecnologie. «Le sfide sono considerevoli, le iniziative, le nuove regolamentazioni e le innovazioni numerose – ha proseguito Rousson -. Dobbiamo essere all’avanguardia in questi grandi cambiamenti. Il mercato mondiale del jeanswear, che dovrebbe raggiungere gli 80 miliardi di dollari l’anno prossimo, è stato uno dei precursori del mutamento profondo della moda in generale, dimostrando la sua resilienza, la sua inventiva e la sua modernità».

Modernità che passa soprattutto dalla ricerca della sostenibilità. Anche in questa edizione (la prossima si terrà in dicembre) il dibattito sull’uso di fibre alternative al cotone è stato in primo piano: lino e canapa, per esempio, ma anche juta, ortica e ramia, che necessitano di pochissima acqua, concimi e pesticidi rispetto al cotone comune e possono essere raccolte non una ma cinque volte l’anno. La viscosa Ecovero di Lenzing è a base di cellulosa da foreste certificate e abbatte il consumo d’acqua del 50%, mentre il NuCycl di Evnru è una fibra di lyocell da riciclo, e la fibra messa a punto da Spiber, un’azienda giapponese di biomateriali, è sviluppata a partire da proteine fermentate in laboratorio. Per le fibre di origine sintetica, in primo piano l’uso di Seaqual, fibra che porta lo stesso nome dell’organizzazione spagnola che lo produce a partire da un 10% di rifiuti plastici marini e dal 90% di Pet post-consumo, come l’Econyl (filato di nylon rigenerato da rifiuti) di Aquafil e il Q-Cycle da ex pneumatici di Fulgar. Per ridurre il loro impatto, le aziende sono anche impegnate nel recupero di risorse pre e post-consumo, e si sta diffondendo la sostituzione di pigmenti a base sintetica con altri a base minerale o derivanti da scarti agricoli.

A cimentarsi con il futuro più sostenibile del denim sono stati anche gli studenti di Ied e Naba che hanno firmato la collezione “Project Tomorrow”, interpretando le tendenze identificate dal team dell’evento e in collaborazione con eccellenze anche italiane come le tessiture Titanus e Berto e produttori come FashionArt, con i bottoni di Bap Group e le etichette di Emmetex.

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