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Elia Viviani ha raccontato a Fanpage.it di un ciclismo sempre più votato al rischio e il suo avvicinamento alle Olimpiadi di Parigi, dove punta alla terza medaglia consecutiva in pista: “Ma la voglio d’oro”.

Fra poco più di due settimane scatterà il Giro d’Italia 2024 che vedrà i ciclisti impegnati in 3.400 chilometri lungo la penisola italiana, per un totale di 21 tappe. Non ci sarà purtroppo tra gli italiani al via, Elia Viviani, del team INEOS, che punterà con ancor più decisione al suo obiettivo principe del 2024, le Olimpiadi di Parigi che rappresentano il sogno più grande, la terza medaglia consecutiva.

Ai microfono di Fanpage, Elia Viviani ha raccontato del suo percorso verso i Giochi parigini, che concluderanno il suo straordinario percorso su pista: “Mai e poi mai potrei ambire ad andare anche a Los Angeles. Dunque, inutile girarci intorno, rivoglio il mio oro”. In un ambiente che piace forse un po’ meno, sempre più votato alla performance, all’esasperazione e al “ciclismo dell’ o la va o la spacca, perché noi sappiamo perfettamente dentro al gruppo che ci sono rischi e rischi e sempre più spesso c’è qualcuno che non frena più“.

Elia si avvicina a grandi passi il Giro d’Italia, come vedi l’edizione 2024?
Sarà ancora una volta difficile, ma vedo la due giorni sulle Alpi lombarde con arrivo e partenza – dopo un giorno di pausa – a Livigno come il momento che sarà probabilmente decisivo per il Giro.

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La tappa con arrivo a Livigno sarà un inedito assoluto. Un problema in più per tutti?
Il Mottolino sarà un arrivo mai inserito prima, tanto che tutti stanno ancora aspettando informazioni precise, con le percentuali delle salite. Sarà una delle tappe clou che apre all’ultima settimana, che inizierà poi dopo il giorno di riposo con una tappa importantissima: lo Stelvio, Cima Coppi di questa edizione. Purtroppo io lo guarderò da fuori, non farò parte della INEOS.

Scelte di squadra, per te è un rammarico?
No, non sarò al Giro per scelta della INEOS. Visto che l’obiettivo principale sarà uno: aiutare Geraint Thomas a vincere la classifica generale. Ma il Giro per me fa parte comunque di una grande parentesi della mia carriera, lo tengo stretto nel mio palmares anche perché l’ho fatto mio nel 2018. Fu il Giro dei sogni: quattro tappe vinte e la maglia ciclamino sulle spalle. E di certo vorrò tornarci in futuro perché da corridore italiano, non c’è nulla di più bello che sfidarsi sulle strade del Giro.

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Senza il Giro, cambiano i tuoi programmi per le Olimpiadi?
Senza il Giro mi concentrerò ancor più all’anno olimpico con obiettivo principale di fare bene a Parigi ’24. Tutto il mio programma è stato fatto in vista delle Olimpiadi, il mio più grande appuntamento stagionale. Voglio arrivarci al top della mia forma fisica e mentale.

Come ti stai preparando?
Ci sarà qualche appuntamento su strada ma la mia concentrazione e la mia preparazione sarà soprattutto come pistard, visto che il mio 2024 è esclusivamente l’Olimpiade di Parigi, nell’Omnium e nella Madison, quindi inizierà il mio primo blocco di preparazione in altura, nelle prossime settimane. Poi il Giro di Ungheria, il Tour di Norvegia e il Giro del Belgio, ma sarà un avvicinamento con tanta palestra e soprattutto pista a Montichiari.

A proposito, come stai dopo la caduta alla Roubaix?
Ho ancora qualche acciacco soprattutto alla schiena, principalmente ho battuto forte la testa ma il casco mi ha davvero salvato. Poi c’è stato l’altro impatto con un ciclista che mi è venuto addosso, da dietro a tutta velocità. Sto recuperando ma anche provando a non perdere gli appuntamenti, come in Coppa del Mondo su pista dove non ho performato proprio per questo. Ma lo sapevamo, l’importante era comunque esserci, anche perché era l’ultima prova per capire gli altri miei futuri avversari a Parigi a che punto fossero. E poi è stato un lavoro importante anche su di me, nel capire i rapporti da utilizzare: così ho stretto i denti, ho sofferto, però era necessario per il mio avvicinamento olimpico. Ora starò tranquillo, ma la preparazione non si interrompe, fortunatamente.

E a Parigi Elia Viviani cosa vuole prendersi?
L’obiettivo principale è sicuramente uno e lo dichiaro senza problemi: conquistare la mia terza medaglia olimpica consecutiva. E’ dal 2012 in poi che penso spesso all’importanza dei Giochi che li considero da sempre una tappa fondamentale della mia carriera. Anche perché poi ho avuto l’onore di essere portabandiera dell’Italia a Tokyo. Un vero e proprio premio, che ancora oggi mi dà orgoglio e vanto.

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Come ci si prepara per portare la percentuale di fallimento al minimo?
La preparazione sicuramente conterà moltissimo ma ciò che serve è solo una cosa: farsi trovare in quei giorni di agosto al top della forma, sapendo di aver fatto tutto il possibile, per essere pronti. Il mio obiettivo è di arrivare in pista al meglio, farmi trovare superiore agli avversari come è accaduto già nel 2016 e prendermi l’oro. Perché è inutile nasconderlo: una medaglia è sempre una medaglia, ma c’è tantissima differenza tra vincere un oro e vincere il bronzo.

Il tuo obiettivo minimo se dovesse andare male?
Tornare da Parigi con qualsiasi tipo di medaglia al collo sarà considerato personalmente un grande successo. Non sarebbe una delusione, anzi, qualsiasi risultato positivo lo festeggerò al massimo. Ma io lo ripeto: rivoglio l’oro.

A proposito, dovessi scegliere qual è il tuo più bel ricordo legato alla pista?
Così al volo togliendo le Olimpiadi sicuramente cade sulla mia prima maglia iridata, a botta calda. Ho inseguito tantissimo questo obiettivo e solo nel 2021 sono riuscito a raggiungerlo nell’inseguimento.

E su strada tra i tanti successi?
Anche su strada ho vinto molto, in questo caso ce ne sono tanti di momenti felici. Sicuramente sul podio ci metto la mia prima tappa vinta al Giro d’Italia (2015, ndr) che da italiano era un sogno nel cassetto che sono riuscito a realizzare. Poi tantissimi traguardi come il campionato italiano, che è arrivato nel mio più bell’anno sportivo perché l’ho vissuto vestendo il tricolore e portandolo sempre con me.

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Dopo le Olimpiadi di Parigi, cosa riserva il futuro a Viviani?
Dopo l’Olimpiade di Parigi, comunque vada a finire, ho ancora intenzione di pedalare per un paio di stagioni provando a prendermi ulteriori soddisfazioni. Si chiuderà il ciclo in pista anche perché non potrò mai arrivare alle Olimpiadi 2028, ma di certo nel mio prossimo futuro c’è ancora l’intenzione di stare in strada. Concentrarmi su un calendario di gare importanti per restare comunque competitivo. In un ipotetico programma vedo perfettamente le Classiche, la Tirreno e ovviamente ritornare al Giro d’Italia. Tutte gare che hanno segnato la mia carriera, in cui vorrei tornare ad essere protagonista.

In un ciclismo caratterizzato sempre di più anche da cadute, molto spesso gravissime. Ti sei mai posto il perché?
Purtroppo stiamo vivendo un ciclismo molto frenetico. Percepisco una esigenza generale per cui nessuno può e vuole perdere. E non parlo solamente in termini di arrivo.

Che cosa vuoi dire?
Mi riferisco a questa lotta in gruppo ad essere sempre davanti in corsa, non accetti di non esserlo e quindi a volte si fa un po’ di tutto per arrivarci. Sul fronte della sicurezza e dell’organizzazione si sta prendendo anche una buona direzione, si stanno facendo progressi sia a livello di Federazione sia come Assocorridori e UCI. La volontà che vedo è la ricerca di aumentare il grado di sicurezza, per quanto si possa fare dal di fuori. Dalla segnaletica, agli avvisi sonori, fino a valutare anche eventuali neutralizzazioni o cambi di percorso di fronte a condizioni di meteo proibitive o pericolose per i ciclisti.

Il protocollo punti dell’UCI a tuo avviso influisce su queste dinamiche iper performanti?
La classifica a punti UCI è relativo, perché è un fattore che influisce ma ciclicamente. Si entra nel panico dei punti da parte della squadra per cui corri quando arriva l’anno di scadenza del triennio. Se guardiamo ad oggi non siamo nell’anno conclusivo e quindi non è che stia influendo particolarmente. Non penso sia questo il punto e nemmeno il fatto che per guadagnare più punti possibili oramai non si corre per un solo capitano ma per almeno tre ciclisti forti.

Dunque il problema siete voi ciclisti?
La verità è che è in gruppo sono i ciclisti che devono fare il passo in avanti, anche a costo di fermarci. Si sta arrivando ad un punto in cui non può più continuare così. Lo dico per il bene di tutti, perché nessuno ha piacere a farsi male o a far male a qualcun altro. E’ un discorso anche pro ciclismo, perché quando vengono coinvolti i grandi campioni poi tutti ne pagano le conseguenze. Vedere le gare senza i migliori non fa piacere a nessuno. Nessuno vuole più frenare rispetto agli altri e molti decidono di prendersi dei rischi anche esagerati.

Ma ne avete parlato tra di voi?
Noi dall’interno del gruppo capiamo e sappiamo benissimo quando il rischio significa o la va o la spacca, oppure il rischio si traduce in una azione comunque sempre ponderata e considerata nei minimi particolari. In questo ciclismo, purtroppo, si sta prendendo sempre più la strada dell’azzardo non calcolato e non fa bene a nessuno.

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