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Notiziario

Cresce il numero delle imprese dell’agroalimentare titolari di marchio storico e iscritte nel Registro del ministero delle Imprese e del Made in Italy. Secondo una ricognizione effettuata per il Sole 24 Ore, le titolari del comparto registrate a marzo 2024 sono 182.

Rispetto al 2021 (quando erano 54) sono più che triplicate, inglobando il settore food in tutte le sue declinazioni: caffè, vini, liquori, sciroppi, infusi, olio, pasta, riso, dolci, salumi, tartufi, latte e derivati, biscotti, gelati, marmellate, succhi, cioccolata, conserve, frutta. Il numero dei marchi – in crescita di giorno in giorno – il 22 marzo era a quota 277 (ciascuna impresa ne può registrare uno o più): scorrendo la lista si scorgono prevalentemente aziende con fatturati medi, pochi big, mentre più ristretta è la rosa delle piccole imprese, con un giro d’affari sotto i 50 milioni.

Solo per citarne alcune: Ambrosoli, Cirio, De Cecco, Vismara e Santa Rosa (per cui sono stati emessi francobolli ad hoc lo scorso maggio, ndr); e poi Antinori, Bauli, Caffarel, Callipo, Carpenè Malvolti, Cirio, Colussi, Conserve, Despar Italia, Divella, Fabbri, Ferrari, Fratelli Beretta, Gentilini, Granoro, Lete, Marchesi di Barolo, Monini, Noberasco, Paluani, Rana, VeGè, Zuegg e tante altre. Tutte insieme sfiorano un fatturato da 30 miliardi di euro.

Nonostante la netta prevalenza del comparto agroalimentare su altri, il fenomeno non è ancora esploso e presenta interessanti margini di potenzialità. Lo spiega Massimo Caputi, presidente dell’Associazione marchi storici nata due anni fa, proprio per accendere l’interesse delle aziende: «Le imprese del Food con i requisiti per diventare marchio storico sono 26mila – dice – ma molte non sanno neanche dell’esistenza del registro, che le rende custodi della cultura industriale italiana nel mondo». Anche all’interno dell’Associazione marchi storici (cresciuta del 127% in termini di affiliati negli ultimi 12 mesi), l’agroalimentare copre il 40% delle adesioni, seguito dal settore tessile (20%) e dell’ospitalità (15%).

In un comparto che ricava una forte marginalità dall’export e in cui il brand è lo strumento attraverso cui avviene la fidelizzazione del cliente, l’iscrizione al registro rappresenta un riconoscimento di storicità, eccellenza e di certificazione della filiera made in Italy (il requisito è la titolarità – o la licenza esclusiva – su marchi d’impresa registrati, o per i quali sia possibile dimostrare l’uso continuativo da almeno cinquanta anni). In molti casi, la spinta a rafforzare la propria territorialità, prevale sulle tutele offerte.

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