Storie Web giovedì, Maggio 2
Notiziario

Questa settimana Mario Draghi è intervenuto a La Hulpe a una conferenza sul pilastro sociale europeo organizzata dalla presidenza belga del Consiglio UE, anticipando alcuni contenuti del suo “rapporto sul futuro della competitività europea” richiestogli lo scorso settembre da Ursula von der Leyen in occasione del suo discorso sullo stato dell’Unione. Ne abbiamo parlato con Giuseppe Sabella, direttore di Oikonova.

Sabella, quelle di Mario Draghi sono indubbiamente considerazioni che volano molto alto, vista anche l’eco che gli è stata riservata e tenuto anche conto che preannunciano alcuni contenuti del suo importante rapporto sulla competitività. C’è qualcosa in particolare che l’ha colpita?

Mario Draghi è certamente un grande interprete del nostro tempo. Per dirla con Hegel, oggi Draghi incarna lo spirito del mondo, della globalizzazione di ieri e di oggi. Non dimentichiamoci che il suo “whatever it takes” è stato decisivo per la tenuta dell’Unione negli anni della crisi del debito e che lo stesso Obama, quando gli USA erano chiamati a scelte difficili dopo il crollo di Lehman Brothers, diceva ai suoi “chiamate Mario”. Mario era naturalmente il presidente della BCE. Questo dovrebbe intanto inorgorglirci come italiani e, anche, dirci che ci siamo anche noi nell’elite del potere europeo e mondiale. La stessa Giorgia Meloni pare esserne consapevole e non dispiaciuta di poter contare su Mario Draghi. Mi ha colpito, in sintesi, la lucidità di Draghi e il suo acume nel comprendere i grandi cambiamenti del tempo travagliato che stiamo vivendo. E poi ho apprezzato molto il passaggio iniziale, quello sui salari.

Al tema del salario, lei ha dedicato il suo ultimo libro – L’energia del salario, Rubbettino 2023) – può spiegare meglio questo punto?

Draghi, in buona sostanza, ha detto che l’Europa ha cercato di competere con USA e Cina sul piano del contenimento dei salari, col risultato di indebolire la domanda interna e il suo modello sociale. Ecco, nel mio libro che lei cita io sostengo che i programmi di Transizione ecologica ed energetica hanno possibilità di realizzarsi se si interviene proprio sul potere d’acquisto. Questo perché, già lo vediamo, ciò che produciamo va nella direzione di costare di più, per aspetti legati all’inflazione e, anche, perché sul prodotto “green” ricadono i costi della trasformazione dell’industria. In sintesi, non vi sarà nessuna transizione senza crescita del potere d’acquisto. Anche perché, tutte le economie avanzate stanno sforzandosi di consolidare la domanda interna. Bene, il prodotto europeo è più caro di quello che importiamo. Non vi è alternativa, quindi, a intervenire sul livello delle retribuzioni.

Prima faceva cenno ai cambiamenti del tempo travagliato che stiamo vivendo. A cosa si riferisce in particolare?

Al di là delle guerre che stanno dilaniando alcune zone del mondo e spaventando l’intero globo, mi riferisco al fatto che vi sono risposte che arrivano da USA e Cina e che seguono alla crisi della globalizzazione – acuita da pandemia e guerra – che sono molto importanti per il futuro dell’economia. Draghi le ha bene in mente, vede le disparità createsi in ragione di attori (USA e Cina) che decidono e intervengono in tempi rapidissimi mentre la nostra UE resta ferma. In particolare, se pensiamo all’Inflaction Reduction Act (IRA) degli USA, stiamo parlando di un programma che ormai ha quasi due anni e che è in grado di spostare gli equilibri, perché aumenta l’attrattività degli USA per gli investimenti anche europei. Possibile che in due anni, appunto, non abbiamo capito che è necessaria una misura simile anche per noi? Altrimenti, rischiamo di non essere altrettanto attrattivi per investitori e attività produttive.

A questo proposito, Draghi dice “il mondo sta cambiando rapidamente e ci ha colto di sorpresa”…

Draghi usa queste parole per garbo e rispetto nei confronti delle Istituzioni europee. Come dice in un altro passaggio del suo discorso, le scelte che l’Europa ha fatto e gli interventi che ha attuato sono progettati per “il mondo di ieri”. Stiamo parlando del mondo pre-Covid, pre-Ucraina, pre-conflagrazione in Medio Oriente… “prima del ritorno della rivalità tra grandi potenze” dice Draghi. Ma la rivalità tra grandi potenze emergeva già nel ciclo immediatamente precedente la pandemia (2017-2020), quando era evidente la crisi del mercato globale. Chiaro che questa crisi poi esplode con la pandemia e con la guerra in Ucraina, ma ormai parliamo di diversi anni. Il ritardo europeo non è giustificabile. Ma, ahimè, l’Europa è debole politicamente. Ecco perché, in sintesi, lui dice che l’Europa ha bisogno di un “cambiamento radicale”.

Proviamo a sintetizzare: quale potrebbe essere questo cambiamento radicale e cosa l’Europa dovrebbe fare per tenere il passo rispetto a USA e Cina?

Il ritorno della rivalità tra grandi potenze è una conseguenza della crisi della globalizzazione. Per quanto una certa rivalità vi sia sempre stata, è chiaro che con la fine dell’interdipendenza – questo è il punto – ognuno ha iniziato a lavorare per la sua autonomia. Poi, un po’ di interdipendenza c’è ancora, è fisiologica. Vi sono fattori irreversibili che spingono sempre di più per l’indipendenza, per il decoupling (il disaccoppiamento delle catene del valore). In un certo senso, anche nella programmazione europea vigente vi è questa consapevolezza. Ma i ritardi che abbiamo in particolare nella difesa, nella riorganizzazione delle attività produttive, nelle nuove tecnologie, nell’approvvigionamento delle materie prime e dei materiali critici, generano interrogativi enormi sul futuro dell’UE. Non è un caso che siano i punti che hanno articolato il discorso di Draghi.

Quali fattori più di altri spingono secondo lei per il decoupling e per più autonomia degli stati e meno interdipendenza?

Naturalmente, eventi straordinari come pandemia e guerra hanno reso i sistemi sanitari e della difesa più strategici – se così si può dire – di quanto fossero in precedenza. Ricordiamoci che, all’inizio della pandemia, eravamo senza mascherine e che l’Europa è l’unico grande Paese al mondo che non ha prodotto un suo vaccino. Per quanto riguarda il problema della difesa, sappiamo bene che per la prima volta in Europa oggi si ragiona di difesa comune. Tuttavia, vediamo bene il problema dell’autonomia quando consideriamo aspetti di natura tecnologica e produttiva. Intanto, i problemi delle materie prime e degli approvvigionamenti sono enormi. La Cina oggi è molto potente in questo senso e abbiamo già sperimentato cosa significa, in particolare col gas, basti pensare ai rischi e all’inflazione che abbiamo subìto in questi tre anni. Inoltre, l’Europa – nella fase precedente, quella della delocalizzazione produttiva – a differenza degli USA, che sono stati attenti a non perdere autonomia, ha spostato così tante attività produttive fino a perdere indipendenza su comparti strategici come quello dei microchip e dei semiconduttori. Oggi non solo stiamo faticosamente cercando di recuperare questo terreno perduto ma, proprio su questo piano, capiamo quanto in termini di sicurezza è fondamentale essere autonomi: chip e semiconduttori sono decisivi nella realizzazione anche di sistemi di protezione informatica e digitale.

Anche da Enrico Letta, incaricato dalla UE per redigere un rapporto sul futuro del mercato unico, sono arrivati suggerimenti importanti. Cosa ne pensa?

In primis, torno a dire che noi italiani dovremmo essere più consapevoli di quanto siamo apprezzati nel mondo. Letta, al pari di Draghi, ha molto insistito sul tema della difesa, rimarcando che dobbiamo ridurre i nostri approvvigionamenti militari dall’estero e sviluppare l’industria bellica. Auguriamoci, tuttavia, che questo investimento crescente delle grandi potenze nella difesa e negli armamenti porti non a più conflitti ma a più deterrenza.

Qual è l’Europa che possiamo aspettarci dopo le elezioni di giugno?

Considerando che a novembre ci sono anche le elezioni americane e che vi è il rischio di maggior isolazionismo da parte degli USA – soprattutto se vincesse Trump – o l’Europa cresce politicamente o rischia seriamente la disgregazione. Questi prossimi cinque anni saranno decisivi. Mi pare che Draghi abbia detto bene in conclusione del suo discorso: “i nostri rivali ci stanno precedendo perché possono agire come un unico paese con un’unica strategia (…) Se vogliamo eguagliarli, avremo bisogno di un rinnovato partenariato tra gli Stati membri – una ridefinizione della nostra Unione che non sia meno ambiziosa di quella che fecero i Padri Fondatori 70 anni fa con la creazione della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio”.

Condividere.
© 2024 Mahalsa Italia. Tutti i diritti riservati.