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Notiziario

Francesco Gabbani è stato uno dei protagonisti del Festival di Sanremo con Viva la vita: a Fanpage racconta il disco, la ricerca della semplicità, il cantautorato e l’autotune.

Francesco Gabbani (Marco Alpozzi/LaPresse)

Francesco Gabbani ha pubblicato il nuovo album Dalla tua parte, un lavoro che consolida la carriera del cantautore toscano, vincitore di due Festival di Sanremo, tra i giovani e tra i Big, dove ha raccolto anche un secondo posto e l’ottavo di quest’anno con la canzone Viva la vita. Il suo album è un inno alla semplicità, al trovare l’essenza della vita, spogliandosi di sovrastrutture, come insegna anche Tiziano Terzani, che l’artista cita spesso. Gabbani, quindi, a Fanpage racconta l’album, queste canzoni, la ricerca di semplicità, ma torna anche sui suoi Festival di cambiamento, sulla figura del cantautore e sulle polemiche sull’autotune, prima di chiudere con il tour che lo vedrà protagonista nei Palazzetti.

Dalla tua parte è un album che parte subito guardando all’altro, a chi ascolta.

Se devo essere sincero, questa componente mi ritrovo sempre più a leggerla a posteriori. Più vado avanti, infatti, dopo questi anni in cui ho iniziato a farmi conoscere dal pubblico, facendo dischi, vivendo di questo, scrivendo canzoni, più ho sviluppato una consapevolezza di scrittura che in realtà è meno consapevole.

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Ovvero?

Ho messo a fuoco il fatto che quando ho un approccio di scrittura non è mai a priori, tipo per definire qualcosa o dare una risposta a qualcosa, ma è sempre basato molto sulla spontaneità di ecrte suggestioni, per questo il senso generale lo leggo a posteriori. Non è che dico: “Adesso scrivo una canzone su questa cosa”, che io sia da solo a scriverla o che la scriva come co-autore, il mio approccio è sempre quasi più inconsapevole a priori, mentre diventa consapevole dopo. Insomma, tutto questo dirti che quello che mi stavi dicendo rispetto a questa apertura nei confronti degli altri, del prossimo, è un qualcosa che riconosco nel mio operato, che però è una lettura a posteriori, non mi sono messo a fare questo disco dicendo: “Ah, voglio scrivere canzoni che riguardano il prossimo”. No, io esprimo quello che sono, poi probabilmente nel mio modo di approcciarmi alla vita, in questa fase, evidentemente c’è una naturale considerazione del rapporto con gli altri individui.

Così come ti viene, mi verrebbe da dire per citarti…

Esattamente, “Così come mi viene”, che poi è forse una delle canzoni apparentemente più leggere del disco, in termini di freschezza, però è esattamente quello, così come mi viene, senza avere per forza una una strutturazione intellettualoide a priori.

Quando ascolto Viva la vita, Così come mi viene, La leggerezza, ascolto canzoni che raccontano un Gabbani che cerca di togliersi quante più sovrastrutture possibili, che fa una ricerca di semplicità, sbaglio?

No, è quello che sto cercando di fare. Ammesso che la musica che faccio, nella forma canzone, continua a essere l’espressione di quello che sono, nel bene o nel male, sicuramente in questa fase della mia vita – cominciata nel momento in cui ho scritto queste canzoni – c’è questa destrutturazione, questa ricerca di una strada che vada al succo della questione. Io parlo in termini esistenziali, infatti Viva la vita, che ben rappresenta questo album, sottolinea questa direzione dell’accettazione. E in questa fase è arrivato Terzani, in cui ho ritrovato – nel suo processo di destrutturazione – un bel complice, in termini di approccio alla lettura del senso dell’esistenza. Lui lo fa nella fase finale della sua vita, quando ha scoperto di essere malato, quindi in un momento diverso da quello in cui posso farlo io, nel mio percorso di vita, però alla fine è un imbuto che va a finire lì: tutti prima o poi ci chiediamo qual è il significato della nostra esistenza, poi ognuno prova a trovare la risposta  in varie cose, come la religione o la fede.

Francesco Gabbani ph Elena di Vincenzo

Francesco Gabbani ph Elena di Vincenzo

Ho letto che sei sentito ferito per non essere stato considerato tra i cantautori quando se ne parlava a Sanremo. Riflettevo che in fondo è vero e forse è perché il tuo esserlo non rientra nell’immaginario che abbiamo del cantautore?

Diciamo che avere messo la “zeppetta” su questa cosa, cioè sul fatto che poche volte vengo incluso nel cantautorato, arriva di conseguenza all’aver vissuto di nuovo il Festival di Sanremo. E questa cosa l’ho notata perché in tutto il cast, tra quelli che venivano considerati come cantautori non ero mai citato. L’intenzione, sia chiaro, non è quella di andare a criticare chi non mi nomina come cantautore, perché io sono il primo a sapere che il mio modo di esserlo è atipico, nel senso che lo sono, però sono anche quello istrionico, guascone, performer, sono tutto quello che sono, che però nella visione trasversale è un po’ come se facesse dimenticare, appunto, che in realtà io sono un cantautore a tutti gli effetti. La critica era mossa in quella direzione. Un po’ mi dispiace che venga presa così, forse perché in questo sono un po’ controtendenza, nel senso che non mi piace l’idea di etichettare più di tanto, io sono per godere e e prendere in un modo trasversale tutto quello che si può prendere. Non mi interessa schierarmi.

Tu sei stato il cambiamento a Sanremo, l’ultimo del primo Conti, quello che ha dato il la a una nuova via possibile, portando anche a Soldi, due anni dopo. Questa cosa te la riconosci?

Anche questa cosa qua probabilmente è detta poco, perché la rottura viene percepita in un altro momento che credo sia tra Mahmood e i Maneskin che fecero molto scalpore in quest’ottica di cambiamento, poi ci furono Mahmood e Blanco. Però sì, a oggi mi sento lo spartiacque, non saprei come definirlo altrimenti, quello da cui è iniziato questo cambiamento.

Perché “a oggi”?

Perché la percezione di essere stato un punto di cambiamento ce l’hai solo dopo che è passato un po’ di tempo.

Quando vedi che quel cambiamento è attuato nel tempo…

Esattamente, perché altrimenti poteva essere stato un unicum, un caso sui generis, un episodio. Invece quello che è successo dopo il 2017 ha sicuramente dimostrato il fatto che c’è stato un cambiamento e che è stato relativo soprattutto all’includere nella dimensione del Festival non solo l’idea di canzone sanremese, come succedeva precedentemente, ma un’espressione di qualsivoglia tipo. Ma anche il fatto che possa vincere Sanremo un outsider, io l’ho vinto in quel modo Sanremo, così come è successo poi a Mahmood, che ha spiazzato tutti, no? Secondo me, in questo senso ha cambiato il Festival e continua così, lo abbiamo visto anche nell’ultima edizione.

Volevo chiederti un chiarimento anche sulla questione autotune che hai criticato prima del Festival. Esiste un mondo in cui l’autotune ha un uso stilistico – se non politico -, penso all’hyperpop, e non solo di correzione.

Il mio punto di vista parte dal fatto che l’autotune lo considero un’espressione del tempo che viviamo perché è a tutti gli effetti un ausilio artificiale che viene usato nell’espressione artistica e quindi musicale. Però resta uno strumento, un software, qualcosa che nell’espressione del nostro tempo ci sta, perché viviamo in una realtà che è molto tecnologizzata e in cui l’espressione artistica passa da tutto ciò che può essere un supporto tecnologico, quindi come tale lo accetto. Lo accetto come caratteristica artistica, perché quando è dichiarato è dichiarato e in questo senso va benissimo perché diventa connotato artistico, stilistico e strumento di comunicazione.

Però?

Però mi fa un po’ incazzare quando viene usato come strumento di correzione e basta, perché un conto è usarlo dichiaratamente come modo stilistico, un altro è usarlo come correttore. Se uno pensa: “Se non ho l’autotune che mi corregge non canto” vuol dire che non ha la consapevolezza artistica di quello che stai facendo.

Chiudiamo col tour che porterai a breve nei palazzetti.

Lo show dei palazzetti lo abbiamo già testato, ho già debuttato con questo tipo di produzione già al Forum di Milano, lo scorso dicembre, quindi ora ricominciano i palazzetti ripartendo da quella dimensione, che è fondamentalmente un concerto in cui, molto semplicemente, al centro c’è la musica, ci sono le canzoni, non troppi effetti speciali. È un’occasione per ripercorrere 10 anni di musica inedita e condividere col mio pubblico le canzoni. Poi sarà anche l’occasione per far ascoltare anche diversi brani estratti dal disco nuovo, e soprattutto con la band suoneremo soprattutto dal vivo, useremo poche sequenze, per questo ho allargato l’organico di musicisti: c’è un tastierista in più e un quartetto di archi sul palco.

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