Storie Web lunedì, Giugno 24
Notiziario

Continuano a fioccare i provvedimenti del tribunale di Milano nei confronti di aziende della moda e del lusso “colpevoli” di non aver controllato adeguatamente la propria catena di fornitori. Che a loro volta si sarebbero appoggiati a subfornitori con lavoratori irregolari, paghe molto basse, orari e condizioni di lavoro lontane dalla legalità. Principalmente opifici cinesi, a pochi chilometri da Milano.

La Sezione autonoma misure di prevenzione del tribunale di Milano ha posto in amministrazione giudiziaria Manufactures Dior, azienda che fa capo alla filiale italiana della maison Christian Dior, uno dei marchi di punta del gruppo del lusso Lvmh, e che sovrintende la fabbricazione di articoli da viaggio, borse e pelletteria del marchio francese, con hub produttivi a Scandicci (Firenze) e Fosso (Venezia). Si tratta del medesimo provvedimento emesso nei mesi scorsi nei confronti di Alviero Martini Spa e Giorgio Armani Operations.

La misura – che prevede la nomina di un amministratore giudiziario che, in carica per 12 mesi al massimo, controlli la filiera di fornitori ed eventualmente rescinda gli accordi con le aziende che violano la legge – si fonda sulle risultanze di un’indagine dei carabinieri del nucleo Ispettorato del lavoro, coordinata dai pm Paolo Storari e Luisa Bollone, secondo cui la casa di moda affiderebbe «attraverso una società in house creata ad hoc per la creazione, produzione e vendita delle collezioni di moda e accessori, mediante un contratto di fornitura, l’intera produzione di parte della collezione di borse e accessori 2024 a società terze, con completa esternalizzazione dei processi produttivi». Come nel caso di Armani e Alviero Martini, l’azienda fornitrice di Manufactures Dior non avrebbe in realtà adeguata capacità produttiva e, di conseguenza, avrebbe a sua volta affidato le commesse a «opifici cinesi, i quali riescono ad abbattere i costi ricorrendo all’impiego di manodopera irregolare e clandestina in condizioni di sfruttamento».

Nel dettaglio, i carabinieri del nucleo ispettorato lavoro di Milano hanno rilevato una serie di irregolarità in una società appaltatrice di Opera, nel milanese, gestita da una donna cinese. Lì, nel marzo scorso, i carabinieri hanno trovato 23 lavoratori che dormivano in camere da letto adiacenti ai laboratori e rilevato sia i dipendenti non utilizzavano dispositivi di protezione sia alcuni dispositivi di sicurezza sui macchinari erano stati rimossi o disattivati. Tale rimozione secondo gli inquirenti avrebbe permesso un «aumento della capacità produttiva dell’operatore a discapito della propria incolumità».

Il tema dello sfruttamento dei lavoratori da parte di piccole aziende della filiera della moda made in Italy che, a loro volta, lavorano per importanti brand (del lusso e non ) che non controllerebbero adeguatamente è nel focus investigativo degli inquirenti milanesi ormai da mesi. Come già contestato ad altre aziende, il tema è quello del mancato controllo dei brand sulla catena di sub fornitura. A questo proposito presso la Prefettura di Milano è stato attivato un tavolo di confronto al quale, lo scorso 8 maggio, hanno partecipato il presidente del tribunale di Milano Fabio Roia, il prefetto Claudio Sgaraglia, e la procuratrice Alessandra Dolci. Lo scopo è «individuare buone pratiche di natura preventiva» contro il caporalato accertato dalle indagini del pm Paolo Storari nella «filiera degli appalti» di «due aziende operanti nel settore» del lusso, la Alviero Martini e la Giorgio Armani Operations, fenomeno però ritenuto largamente diffuso anche in altre realtà. Oltre alle istituzioni all’incontro erano presenti i rappresentanti di tutto il settore della moda, dell’artigianato l’Ispettorato del Lavoro e il Politecnico di Milano.

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