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Notiziario

Un estratto sul 25 aprile 1943 tratto dal libro “25 aprile. La storia politica e civile di un giorno lungo ottant’anni” del professore Luca Baldissara.

Il 19 aprile 1945, alla presenza dei rappresentanti dei cinque partiti antifascisti (Dc, Pda, Pci, Psi, Pli) che lo compongono, si tiene a Milano una riunione del Clnai, il principale organo politico di governo della Resistenza, in cui vengono discusse le direttive per l’ormai imminente insurrezione nazionale. Al termine della discussione, si approva un decreto che intima la resa incondizionata a tutti gli appartenenti alle formazioni armate della Rsi, e viene indirizzato a tedeschi e fascisti un manifesto – che riprende e perfeziona un proclama emanato il 4 aprile dal Comando generale del Cvl – dal titolo inequivocabile: «Arrendersi o perire!». Non solo si annuncia l’insurrezione, ma si avverte che «chi non si arrende sarà sterminato», mentre chi avesse consegnato le armi avrebbe avuto salva la vita, sarebbe stato liberato se coscritto, internato se fascista, consegnato agli Alleati se tedesco.

Due giorni dopo, il 21 aprile, lo stesso Clnai indirizza a tutti i Cln e ai comitati di agitazione un foglio di direttive in cui dispone che l’insurrezione nazionale sia anticipata dalla proclamazione di uno sciopero insurrezionale, così da far affluire i lavoratori – operai, tecnici, impiegati – presso uffici e officine, cantieri e stabilimenti, in tal modo trasformati in «centri di mobilitazione», in «fortezze dell’insurrezione nazionale». Parte dei lavoratori si sarebbero quindi uniti alle formazioni partigiane, e parte avrebbero difeso gli impianti produttivi e di pubblica utilità, poiché «ogni lavoratore sa che se le nostre macchine, se le nostre fabbriche andranno distrutte, sarà per noi e per il nostro paese la disoccupazione, la miseria, la fame». Del resto, la «battaglia decisiva» è già iniziata. Quando queste parole vengono fatte circolare, a Bologna, la prima importante città alle spalle della Linea Gotica, i partigiani stanno infatti assumendo il controllo della città – presidiando i principali snodi del sistema delle comunicazioni e gli impianti produttivi, insediando dirigenti antifascisti di primo piano in tutti i principali ruoli politico-amministrativi (sindaco, prefetto, questore) – e accogliendo i primi reparti alleati.

Lo stesso dicasi per Modena il giorno successivo (22), poi Mantova (23). Il 24 aprile toccherà a Ferrara, Reggio Emilia, Asti, La Spezia, Genova. Tra il 25 e il 26 a Milano, Imperia, Savona, Pavia, Voghera, il 26 a Parma, Lodi, Novara, Vercelli, il 27 a Brescia, il 28 a Piacenza, Bergamo, Sondrio, Torino, Aosta, Padova, Venezia, Vittorio Veneto, Belluno, il 29 a Treviso, Cremona, Alessandria, Cuneo, il 30 a Bassano del Grappa, Trieste, il 1° maggio a Udine; il 3 maggio – quando già è entrata in vigore la resa tedesca in Italia, fissata per il 2 maggio alle 14:00 – si arrende infine il presidio tedesco sul passo dello Stelvio. Ogni luogo, ogni città, ogni data, raccontano una storia diversa e variegata, in un composito alternarsi di ansie e paure, sollievo e gioia.

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Il «25 aprile» – riassumendo in quella data l’insurrezione partigiana e la mobilitazione popolare, la liberazione dell’Italia e la fine della guerra – è dunque una giornata distribuita in realtà su più giorni. Oltre che data simbolo dell’insurrezione e della liberazione, il 25 aprile 1945, quindi, è anche il momento della riunificazione nazionale degli italiani dopo mesi e mesi di una separazione iniziata il 9 luglio 1943 con lo sbarco in Sicilia. È l’inizio di un difficile e complesso ricongiungimento, che, alle preesistenti diversità territoriali e sociali, sovrascrive ora i divaricati tragitti nella guerra, con il portato inevitabile di contrasti e diffidenze, speranze e illusioni. […] Nel quadro della Resistenza italiana, l’insurrezione è intesa come il culmine – militare e politico – della guerra partigiana: se attuata, garantirebbe il riscatto del paese dalle responsabilità del fascismo nel provocare la guerra, coinvolgerebbe le masse popolari in un ampio moto patriottico dagli evidenti risvolti sociali, manifesterebbe il bisogno di rinnovamento in profondità delle strutture politiche e istituzionali dello Stato, mostrerebbe il senso di responsabilità nazionale dell’antifascismo nell’assicurare al paese una transizione guidata al dopoguerra e alla democrazia.

Nel disegno insurrezionale si conciliano al contempo le esigenze del presente e quelle del futuro: accompagnando e, laddove possibile, anticipando anche di poco l’arrivo degli Alleati, si partecipa militarmente alla liberazione dall’occupante tedesco, si mostra l’antifascismo attivo di larga parte delle masse popolari, si difendono il patrimonio produttivo e le infrastrutture dalle minacciate distruzioni della

Wehrmacht, si promuovono forme di partecipazione politica e di mobilitazione sociale della popolazione, si candida il movimento partigiano e antifascista alla guida del paese. In tal modo, si intende condizionare il futuro orizzonte politico al fine di scongiurare il ritorno agli equilibri del prefascismo, favorendo semmai una solida legittimazione ad un ampio disegno di riforma sociale e politico-istituzionale. L’allontanarsi nel tempo degli eventi che le festività civili intendono celebrare tende inesorabilmente a sfumare il ricordo dei fatti storici rievocati. Spesso, le date del cosiddetto calendario civile si trasformano in mere occasioni di vacanza e fuga dalla quotidianità.

Tuttavia, quando si tratti di episodi cruciali e fondativi nella storia di un paese, oppure di commemorare vicende con un portato divisivo, esteso oltre gli orizzonti degli accadimenti stessi, come appunto nel caso del 25 aprile, il riferimento a quanto avvenuto non può sbiadire sino al limite della distorsione memoriale, dell’invenzione di ciò che non fu, della manipolazione, dell’opportunismo politico, dell’oblio collettivo, della totale ignoranza dei fatti. L’ancoraggio alla storia è essenziale per restituire senso politico-civile al «perché» onorare solennemente una data e al «perché» essa sia tuttora cruciale, per spiegare ciò che del passato è ancora vivo e attuale nel presente, per fondare una consapevole coscienza critica della civitas, per sublimare i conflitti e le divisioni di ieri alimentando le ragioni della convivenza collettiva e della coesione sociale di oggi.

Un estratto dal primo capitolo e dal prologo del volume “25 aprile. La storia politica e civile di un giorno lungo ottant’anni” (Il Mulino, 2024, pp. 176, € 13).

Luca Baldissara insegna Storia contemporanea nell’Università di Bologna. Il suo ultimo libro pubblicato con il Mulino è «Italia 1943. La guerra continua» (2023). 

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