L’ultimo vertice sulla chimica si è svolto qualche giorno fa. A Palermo. A Palazzo d’Orleans il presidente della Regione Renato Schifani ha ricevuto i manager di Versalis, la società dell’Eni che ha annunciato la riconversione, tra gli altri, dei siti produttivi di Priolo (Siracusa) e Ragusa. Ed è su quest’ultimo progetto che il governatore siciliano ha puntato quasi tutta la sua attenzione, tralasciando di fatto la questione che attiene il futuro produttivo dell’impianto di Priolo. Alla fine la sensazione è che si sia trattato più di un incontro preliminare che sostanziale: Schifani ha espresso l’urgenza di ottenere una relazione dettagliata e completa sul progetto di riconversione proposto dall’azienda. Si vedrà. Intanto è stato preso atto che l’impianto di Ragusa è fermo e tale è destinato a rimanere per una questione molto semplice: non c’è domanda di prodotto e in ogni caso produrre lì, secondo le analisi già rese note dall’azienda, non è conveniente.
Ma è proprio l’investimento da 800 milioni su Priolo, per la costruzione di una bioraffineria al posto dell’impianto attuale di cracking, che impensierisce non poco: la lista di candidati a prendere il posto di Priolo è lunga sia in Italia che all’estero. Secondo indiscrezioni l’azienda, se le cose andassero per le lunghe, potrebbe decidere di dirottare altrove quell’investimento. Nulla ovviamente è deciso ma l’ipotesi è sul tavolo. Il mese di gennaio è a questo punto decisivo: il 9 gennaio c’è l’incontro per discutere della questione di Brindisi, nella seconda metà del mese si tornerà probabilmente a parlare degli impianti siciliani. Nei primi mesi del 2025 si dovrebbe arrivare a un’intesa sul piano industriale di Versalis. L’azienda in mancanza di un’intesa, dicono i bene informati, potrebbe cambiare strategia e spostare il grosso degli investimenti (quello di Priolo appunto) altrove, forse persino all’estero: una scelta, eventuale, che creerebbe non pochi problemi considerato che Versalis dà lavoro in quell’area ad almeno 800 persone (400 dirette e altrettante nel l’indotto) . L’azienda ha un target di produzione da rispettare e sta accelerando sul fronte dei nuovi impianti: a marzo, in occasione della presentazione del piano industriale 2024-2027 è stato spiegato che per quanto riguarda la bioraffinazione, affidata a Enilive, la società prevede una capacità di oltre 5 milioni di tonnellate l’anno al 2030. La considerazione del management è che si tratta di una opportunità, grazie alla domanda crescente di questi prodotti, che va colta subito, senza tentennamenti.
Il piano di Versalis, accusata dai sindacati di voler abbandonare la chimica di base senza giustificato motivo, trova una logica nelle scelte che riguardano sia il piccolo stabilimento di Ragusa che gli altri, più grandi e impegnativi, come quello di Priolo. Quest’anno, a ben vedere i dati, Versalis perde 800 milioni, negli ultimi cinque anni ha perso tre miliardi e negli ultimi 15 anni le perdite ammontano a sette miliardi. Da tempo il management è convinto che quella strada, quella della chimica di base, porta al precipizio e non ne fa mistero: in passato Eni ha provato anche a vendere Versalis senza riuscirci e ora ha avviato questa nuova strategia che guarda in prospettiva, è stato detto in più occasioni, alla transizione ambientale con un piano da due miliardi.
Sul punto i tre sindacati più importanti hanno posizioni abbastanza diverse. La Cgil ha posto in più occasioni una questione che definisce strategica: la salvaguardia della chimica di base nel nostro Paese. Un tema che tocca molto da vicino ovviamente le scelte di Eni ma che chiama in causa il governo e in generale la politica industriale per fermare quello che definiscono il declino della chimica in Italia: secondo stime sindacali, nei primi anni Duemila vi lavoravano 30mila persone (con l’indotto si arrivava a quasi 100mila lavoratori coinvolti), oggi sono 8mila e con l’indotto arrivano a 20mila lavoratori coinvolti. «Noi pensiamo che una grande azienda come Eni, in cui lo Stato è presente con il 30%, debba fare delle scelte che guardino all’interesse complessivo del sistema Paese – dice il segretario generale della Filctem Cgil Marco Falcinelli -. Abbandonare la chimica di base significa abbandonare una tecnologia e un settore che fornisce per l’80% prodotti a tanti altri comparti, significa condannare l’Italia a una ulteriore dipendenza. Eni dice che continuare a produrre chimica di base non conviene, che costa troppo soprattutto per i costi dell’energia. Ecco qui sta la responsabilità del governo che deve avere il coraggio di intervenire sul costo dell’energia e si può fare, per esempio disaccoppiando il costo dell’energia elettrica da quello del gas».