Storie Web venerdì, Ottobre 24
Notiziario

L’esclusione di Hamas è vista come una condizione non negoziabile. È d’accordo?Occorre realismo e pragmatismo. Alcuni Paesi considerano Hamas un’organizzazione terroristica, ma Hamas è cambiato dal punto di vista politico. Sono un laico, non condivido la visione sociale e culturale di Hamas, ma stiamo vivendo un’era di liberazione, in un momento in cui Israele sta compiendo un genocidio. Dobbiamo metter da parte le divergenze secondarie e concentrarci sulla leadership e sulla rappresentanza palestinese.

I palestinesi si lamentano di non votare 19 anni. L’ex Segretario di Stato Usa, Blinken, dal canto suo proponeva un’ampia riforma dell’Anp.Se non possiamo tenere subito elezioni, dobbiamo trovare un accordo nazionale. Ecco perché propongo un governo di transizione: per includere la società, ascoltare le richieste e aprire lo spazio politico alla nuova generazione, affinché possa partecipare al processo politico e, magari, anche al Governo, che dovrà poi fissare una data per le elezioni: due o tre anni.

Con Trump la Casa Bianca è molto più sbilanciata verso Israele. Quale ruolo può avere l’Unione Europea, anche come mediatore?«In passato l’UE è stata un attore debole. Ora deve assumere un ruolo politico, deve mobilitare la sua influenza per far rispettare i diritti e l’autodeterminazione dei palestinesi. Potrebbe essere decisiva nell’unificare le istituzioni palestinesi, sostenendo la legalità internazionale e la riforma politica, nonché nel ricostruire Gaza con trasparenza e dignità. La ricostruzione deve includere anche la riorganizzazione delle istituzioni e dell’ordine pubblico, collegando Gaza e Cisgiordania sotto un nuovo governo legittimo. L’Europa deve inoltre garantire una presenza equa al valico di Rafah, rispettando l’accordo del 2005, senza limitarsi a seguire le richieste israeliane.»

L’economia palestinese versa in una situazione drammatica. Cosa fare per risollevarla?«Per far ripartire l’economia servono tre misure principali: primo, che Israele rispetti gli accordi economici e non interferisca nella gestione delle entrate palestinesi, comprese quelle destinate agli ex detenuti, parte integrante della nostra società; secondo, che la ricostruzione sia affidata a imprese e manodopera palestinesi, rappresentando così un’enorme opportunità di crescita. Se Israele non vuole più lavoratori palestinesi entro i suoi confini, allora essi devono essere impiegati nella ricostruzione di Gaza, insieme ai lavoratori locali, senza ricorrere a manodopera o aziende straniere. Quando Salam Fayyad era primo ministro, la crescita economica migliorò sensibilmente, soprattutto in Cisgiordania. La sua strategia puntava a ridurre la dipendenza dagli aiuti esterni. È vero che gli aiuti internazionali non possono essere azzerati, poiché viviamo sotto occupazione, ma dobbiamo costruire la nostra società senza dipendere da Israele, dagli Stati Uniti o da altri donatori esterni.»

È pessimista sulla tenuta dell’accordo di pace?Non è il momento del pessimismo. Dobbiamo essere tutti pragmatici e adottare un approccio positivo. Lo dobbiamo a una popolazione stremata.

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