Storie Web mercoledì, Giugno 26
Notiziario

In galleria non si scava più ma si guarda a un nuovo corso fatto di tecnologia e turismo. L’eredità lasciata dalle società minerarie che hanno fermato gli impianti in Sardegna è pesante e deve fare i conti con un ambiente compromesso da recuperare, con edifici che crollano, compendi abbandonati e discariche da bonificare.

È una ferita che tarda a rimarginarsi e con cui deve fare ancora i conti il Sulcis Iglesiente. Eppure negli ultimi vent’anni qualcosa è stato fatto ed è partito un nuovo corso, a cominciare dalla nascita del Parco Geominerario istituito dopo una protesta sottoterra nella miniera di Monteponi durata un anno. Le due città capoluogo, Iglesias e Carbonia, sono al centro di questo cambiamento che viaggia a intermittenza, in cui fasi importanti di lavori senza sosta si alternano a periodi di stallo e silenzio. E le risorse comunitarie, soprattutto il Fondo europeo per lo sviluppo regionale (Fesr), sono state determinanti in questa prima fase.

Fondamentali le risorse europee

«I fondi europei sono stati fondamentali per risolvere questioni di base della città. Per esempio per rifare completamente la rete idrica abbiamo investito oltre 20 milioni di euro – sottolinea Salvatore Cherchi sindaco di Carbonia dal 2001 al 2010 e poi presidente della Provincia di Carbonia Iglesias sino al 2014 -. Oppure per riconvertire siti minerari abbandonati, come per esempio la grande miniera di Serbariu dove, grazie ai fondi europei, abbiamo potuto realizzare il grande museo, la fabbrica del cinema, un laboratorio con trenta persone per le tecnologie energetiche pulite. Abbiamo presentato i progetti, vinto i bandi e, per la mia esperienza, posso dire che si possono rispettare le scadenze: infatti non abbiamo restituito neppure un euro».

La miniera abbandonata di Masua e sullo sfondo il Pan di Zucchero

Gli inciampi: il caso delle bonifiche pubbliche

Non tutto però, nel corso degli anni, è andato bene e gli effetti si vedono anche oggi. «Nel territorio trovo particolarmente critico il caso delle bonifiche – aggiunge ancora Cherchi – penso ai siti minerari in capo alla mano pubblica. Devo constatare che il sistema pubblico che fa capo alla Regione ha perso circa 160 milioni di euro del Fondo sviluppo e coesione perché il sistema regionale non è stato in grado di impegnare queste risorse. Diversamente alcuni interventi in carico ai privati, come quello di Alcoa, hanno speso oltre 25 milioni di euro per mettere in sicurezza il sito abbandonato».

Il sentiero verso Porto Flavia, sorprendente opera di ingegneria mineraria a Masua

Una nuova vita dopo le miniere

A sfruttare la leva dei fondi europei a partire dal 2004 è stata anche la città di Iglesias, al centro di un vero e proprio cambiamento. I fondi Fesr hanno permesso la riqualificazione di una parte importante del compendio minerario di Monteponi, oggi meta di turisti e visitatori. Pierluigi Carta sindaco della città mineraria in quegli anni ha vissuto in prima persona questi cambiamenti.«I fondi strutturali sono stati certamente importanti – dice – in questa zona sono stati importantissimi perché si usciva da una crisi dettata prima dalla chiusura delle miniere e poi dalle fabbriche di Portovesme». Quindi la programmazione e gli interventi che, come sottolinea Carta «hanno messo a terra progetti e interventi per oltre 70 milioni di euro. Oggi Pierluigi Carta è guida “Villaggio Normann” l’organizzazione di volontariato che ha fatto rinascere il villaggio minerario di Normann, nel vicino comune di Gonnesa, dove è stata realizzata una rete sentieristica lunga 80 chilometri.

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