Aumentare le risorse destinate alla prevenzione dall’attuale 5% scarso della spesa sanitaria al 6%: questa una delle proposte per la sanità al centro delle trattative ormai avviate sulla prossima legge di bilancio. Istanza “benedetta” e portata al Mef dal ministro della Salute Orazio Schillaci, oncologo che da inizio mandato ripete il mantra sul colpo di reni che, in particolare in termini di riduzione del carico di malattia tumorale, potrebbe arrivare se la popolazione adottasse stili di vita corretti: in una condizione ideale, il vantaggio sarebbe di un -40% di casi.
Oggi la realtà è ben diversa: investimenti in prevenzione “cenerentola” rispetto alle altre voci di spesa sanitaria pubblica calata del 18,6% tra 2022 e 2023 da 10 miliardi a 8 miliardi e 453 milioni, estrema variabilità regionale, stili di vita tra consumo di fumo, alcol e cattiva alimentazione che non vanno nel complesso migliorando ma anzi vedono un allineamento verso il basso tra Nord e Sud Italia. Con il risultato, pur se in un contesto generale di cure di alto livello nel Paese, di mille diagnosi di cancro al giorno con 390.100 nuovi casi stimati nel 2024. Numeri su cui c’è un ampio margine di intervento: intanto con una maggiore sensibilizzazione dei cittadini, che ancora non “sfruttano” adeguatamente la chance dei test gratuiti offerti dai Livelli essenziali di assistenza (Lea) per tumore al seno, all’utero e al colon retto. Ampia la forbice regionale, con le Regioni in piano di rientro vincolate ai Lea (sulle fasce d’età per l’esame alla mammella, ad esempio) ma anche, e questo vale per molti territori in giro per l’Italia, con un’organizzazione inadeguata degli screening.
Una realtà richiamata da Schillaci durante la presentazione del progetto Frecciarosa promosso dal Gruppo FS e Fondazione IncontraDonna con l’Associazione degli oncologi medici Aiom, sulla prevenzione dei tumori in treno mirata proprio alle donne per “ottobre mese rosa”: «Dobbiamo aumentare la percentuale di fondi per la prevenzione e migliorare le campagne di screening per arrivare a una maggiore equità delle cure – ha avvisato il ministro -: nell’adesione c’è ancora troppo divario tra Nord, Centro e Sud e questo è inaccettabile».
Stili di vita arma più affilata
Gli oncologi plaudono all’aumento annunciato delle risorse in manovra. «Sarebbe un segnale molto importante – spiega il presidente Aiom Massimo Di Maio -. Come Aiom, certo ci impegniamo costantemente nella diagnosi e nella terapia ma siamo consapevoli che la prevenzione è l’arma più efficace, oltre a essere quella più costo-efficace. Un investimento che chiaramente avrà dei risultati nel medio-lungo termine, ma saranno conquiste enormi. La prevenzione primaria che consente di ridurre l’incidenza della malattia grazie a stili di vita corretti ci porterebbe benefici notevoli anche se è chiaro – precisa – che il 40% di riduzione dei tumori tagliando fumo, alcol, cattiva alimentazione e promuovendo una sana alimentazione è uno scenario ideale. Di certo però si può puntare a un miglioramento netto anche solo convincendo una metà della popolazione italiana».
Fondi da potenziare
Qualcosa si è mosso sul fronte dei fondi per la diagnosi del tumore al seno, ma è una goccia nel mare: se il decreto Milleproroghe a inizio anno ha stanziato un milione di euro tra 2025 (200mila euro) e 2026 (800mila) per ampliare la fascia d’età per lo screening dai 45 ai 74 anni, il ddl Liste d’attesa ha visto la bocciatura da parte del Mef di un “tesoretto” di 6 milioni di euro da investire in tre anni. La strada però è tracciata dalle Linee guida internazionali tanto che la Ue raccomanda l’abbassamento dell’età per la mammografia tra i 45 e i 49 anni e l’innalzamento tra i 70-74 anni.
Ampliare i test per il seno
Ad avallare l’importanza di questa misura che lo stesso ministro Schillaci difende è proprio Di Maio: «Davanti all’evidenza scientifica confermata da una raccomandazione – spiega – non è ammissibile che ci siano differenze tra Regione e Regione basate solo sul criterio economico. Oggi invece molte realtà sono a zero mentre altre hanno esteso lo screening solo parzialmente. L’ideale – precisa – sarebbe che ovunque l’età per lo screening gratuito della mammella partisse dai 45 anni. Certo le Regioni devono avere voce in capitolo sull’organizzazione dello screening sul territorio e sulla modalità dell’invito al test per il cittadino, ma non possono contravvenire alle evidenze scientifiche».