Donald Trump ha firmato ieri l’ordine esecutivo per smantellare il dipartimento dell’Istruzione. L’ordine, pronto da settimane sulla scrivania del presidente, incarica la ministra dell’Istruzione, Linda McMahon, di «adottare tutte le misure necessarie» per permettere la chiusura del dipartimento e «restituire l’autorità in materia di istruzione ai singoli Stati».
La Casa Bianca e la ministra hanno ammesso che la chiusura effettiva del dipartimento può avvenire solo con l’approvazione del Congresso, l’accordo con i democratici per raggiungere la maggioranza richiesta sembra tuttavia impossibile: il provvedimento ha infatti bisogno di 60 voti al Senato e i repubblicani ne hanno solo 53 sui 100 complessivi. McMahon sarebbe intenzionata a trasferire alcune funzioni del dipartimento ad altre agenzie, ma secondo gli esperti anche in questo caso servirebbe il via libera del Parlamento.
La chiusura del dipartimento dell’Istruzione è un chiodo fisso della destra americana che lo considera «dannoso» perché promuove politiche progressiste sull’inclusione, l’uguaglianza e la diversità. Il dipartimento amministra i fondi federali per promuovere l’istruzione, tra i quali i 18,4 miliardi destinati alle scuole nelle aree più povere del Paese, e 15,5 miliardi per il sostegno agli studenti con disabilità. Gestisce inoltre i 1.600 miliardi di dollari per i prestiti agli studenti universitari.
Ma la battaglia della destra ha una forte componente ideologica: già ora gli Stati e le amministrazioni locali controllo scuole e università, gestendo oltre l’85% dei fondi e controllando programmi e regole, sui quali il dipartimento federale non ha alcun potere.
La Casa Bianca ha fatto sapere che l’ordine del presidente «darà maggiore potere a genitori, Stati e comunità per controllare e migliorare i risultati di ogni studente». E ha attaccato: «Il dipartimento ha speso 3mila miliardi di dollari dalla sua creazione nel 1979 senza migliorare i risultati degli studenti».