Dopo il terremoto che ha colpito la Regione Sardegna, con la dichiarazione di decadenza della presidente Alessandra Todde, ora il centro sinistra cerca di correre ai ripari. Anche se il percorso da seguire non è molto chiaro giacché, come sottolineano negli ambienti politici si tratta del primo caso in Italia.
Il lampo
La comunicazione shock, anche se al palazzo del Consiglio regionale se ne parlava da tempo, è arrivata venerdì pomeriggio con la notifica, da parte del Collegio regionale di garanzia elettorale (la struttura istituita presso la Corte d’Appello che effettua i controlli sulle spese elettorali sostenute dai candidati alle elezioni per la Camera dei Deputati, per il Senato della Repubblica e per il Consiglio Regionale) dell’ordinanza ingiunzione di decadenza da consigliere regionale della presidente che subito ha annunciato ricorso.
La richiesta di accesso agli atti
La vicenda era nata in seguito alla richiesta di accesso agli atti del parlamentare di Forza Italia. Da qui l’avvio dell’istruttoria con la verifica di tutte le pezze giustificative che hanno riguardato l’elezione di Todde a Consigliere regionale e quindi a presidente della Regione.
I sette punti
Nelle dieci pagine del provvedimento con cui si dispone la trasmissione dell’ordinanza ingiunzione «al presidente del Consiglio regionale per quanto di sua competenza in ordine all’adozione del provvedimento di decadenza di Alessandra Todde dalla carica di Presidente della Regione Sardegna» sono indicati i motivi che hanno portato alla decisione. Al primo punto viene contestato il fatto che «la depositata dichiarazione di spesa e di rendiconto non è conforme a quanto sancito dall’articolo 7, comma 6 della Legge 515/1993, come richiamato dall’articolo 3, comma 1 della legge regionale Sardegna numero 1/1994». Il collegio poi evidenzia che «non risulta essere stato nominato il mandatario la cui nomina deve ritenersi obbligatoria: la candidata alla carica di presidente ha compilato i moduli dichiarando di aver ricevuto contributi e o servizi per 90.670,00 1 euro ma non ha provveduto a nominare il mandatario». C’è poi un altro aspetto che viene evidenziato: «non risultata essere stato aperto un conto corrente dedicato esclusivamente alla raccolta dei fondi». Il collegio evidenzia che la candidata alla carica di presidente ha compilato i moduli dichiarando di aver ricevuto contributi e o servizi per 90.670,01 euro «su un conto corrente di Intesa San Paolo Montecitorio che tuttavia, non appare essere un conto corrente acceso da un mandatario appositamente nominato per la raccolta delle fonti di finanziamento, così come previsto dalla normativa vigente». Viene poi evidenziato il fatto che «non risulta l’asseverazione e la sottoscrizione del rendiconto da parte del mandatario». Per il collegio, la candidata presidente «non avendo nominato un mandatario ha omesso di certificare la veridicità del rendiconto in relazione all’ammontare delle entrate».
All’appello, come sottolinea ancora il provvedimento, manca anche un documento: «Non è stato prodotto l’estratto del conto corrente bancario o postale». Il collegio sottolinea che la candidata «ha prodotto una lista movimenti di un conto corrente Intesa SanPaolo di Montecitorio «e non un estratto conto dal quale risulti l’intestazione del conto corrente utilizzato». Inoltre il Collegio segnala che «non risultano dalla lista movimenti bancari i nominativi dei soggetti che hanno erogati i finanziamenti per la campagna elettorale». Il Collegio contesta il fatto che nella lista movimenti prodotta non compaiono i nominativi di coloro che hanno erogato due finanziamenti: uno da 30 mila euro e uno da 8 mila euro.