Storie Web sabato, Giugno 21
Notiziario

Con il rinvio di 6 mesi dell’entrata in vigore della SUGAR TAX, previsto il 20 gennaio dal Governo, i consumatori hanno per il momento scongiurato un rincaro di circa il 25% del prezzo delle bevande zuccherate. La misura, introdotta con la legge di Bilancio 2020 del governo giallorosso di Giuseppe Conte, è nata con l’obiettivo di scoraggiare il consumo di zuccheri e promuovere abitudini alimentari più sane – in linea con quanto già fatto in altri Paesi europei e mondiali come Francia, Spagna, Regno Unito e Ungheria, Messico, Colombia e alcune città degli Stati Uniti – la SUGAR TAX dal 1° luglio 2025 avrebbe dovuto colpire produttori e importatori di bevande analcoliche zuccherate, applicando un’imposta di consumo di 10 euro per ettolitro sulle bibite finite con edulcoranti e dello 0,25 centesimi di euro per Kg nel caso di prodotti predisposti a essere utilizzati solo dopo essere stati diluiti.

I rinvii

La misura è giunta quindi all’ottavo rinvio: finora non si è riuscita ad eliminarla del tutto perché bisognerebbe trovare delle coperture stabili per rinunciare al gettito stimato: già rinviare di sei mesi l’entrata in vigore della SUGAR TAX significa dover rinunciare per tutto il 2025 a circa 60 milioni di euro, almeno stando alle ultime quantificazioni della Ragioneria generale dello Stato messe a punto per la conversione in legge del decreto Superbonus (Dl 39/2024).

Le critiche

Nella maggioranza sono forti le critiche contro questa imposta definita «iniqua, ideologica e dannosa» con i dati che evidenziano come «non esista alcun nesso tra l’imposta e la riduzione del consumo di bevande zuccherate, mentre esiste, certamente, un impatto negativo sulle aziende e sui posti di lavoro». Bisogna, hanno detto esponenti della maggioranza, «difendere il potere d’acquisto delle famiglie dall’inflazione e la produttività delle aziende del settore, già alle prese con gli incrementi dei costi energetici»

Le imprese

Anche le imprese del soettore sono contro una misura che potrebbe danneggiare «l’agroalimentare italiano in un momento difficile a causa della complessa situazione internazionale», come evidenzia Coldiretti. Assobibe, l’associazione di Confindustria che rappresenta le imprese che producono e vendono bevande analcoliche in Italia, ha evidenziato come l’entrata in vigore della SUGAR TAX così com’è scritta metterebbe a rischio migliaia di posti di lavoro, in particolare nelle piccole e medie imprese del Sud Italia. Con l’entrata in vigore della tassa, sarebbe previsto un incremento del 28% di fiscalità su un litro di bevanda edulcorata (che in massima parte si scaricherebbe cui consumatori, con rincari del 25%) . Inoltre, sempre secondo le imprese gli incassi per lo Stato non terrebbero conto dei 275 milioni di euro di mancato gettito Iva legati alla possibile contrazione delle vendite nel biennio successivo all’entrata in vigore della norma, stimata da Nomisma in circa il 16 per cento . Inoltre, la Sugar tax potrebbe tradursi in un freno degli investimenti per oltre 46 milioni di euro, in un calo degli acquisti di materia prima di oltre 400 milioni di euro e in un taglio del 10% del fatturato, riducendo di conseguenza attività e investimenti in Italia (-12%). Il tutto con quasi 5mila posti di lavoro a rischio.

Il caso della Spagna

Al di là delle stime ex ante, tutte da verificare, dell’impatto della sugar tax sul calo del tasso di obesità (che peraltro, se osservato, potrebbe avere anche altre cause), è interessante il caso della Spagna, dove si è tentato di misurare gli effetti dell’imposta a distanza di anni dopo la sua adozione. Nel 2021 il governo spagnolo alzò l’Iva dal 10 al 21% sulle bevande zuccherate ed edulcorate. El Centro de Políticas Económicas EsadeEcPol, un Think Tank che si definisce indipendente, ha osservato a fine 2022 che più del 90% dell’aumento dell’Iva è stato scaricato sul prezzo finale al consumatore, con un aumento del 9,5% del prezzo medio al litro. La ricerca ha evidenziato una caduta del consumo di queste bevande del 13% (un effetto che si moltiplica per quattro in caso di figli tra 5 e 16 anni rispetto alle famiglie senza figli) ma solo nel 33% delle famiglie più povere. Nella restante parte della popolazione l’effetto è stato insignificante.

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