Nei tempi migliori occorre fare provviste per i tempi peggiori. A Firenze questa norma di buon senso ha segnato il destino di un granaio ancorato al passato e proiettato nel futuro, costruito nel lontano 1695 dall’architetto Giovan Battista Foggini per il Granduca Cosimo III dei Medici come enorme dispensa per la comunità. Non a caso veniva chiamato Granaio dell’Abbondanza: serviva per mettere da parte il grano per i periodi di carestia. Siamo in piazza di Cestello, nella zona dell’Oltrarno, in quel vecchio quartiere operaio di San Frediano citato da Vasco Pratolini e diventato tra i più cool al mondo secondo la bibbia turistica Lonely Planet. Qui c’è un palazzo di 6.500 metri quadrati oggi votato all’innovazione perché riportato a nuova vita grazie alla Fondazione Cr Firenze, che ha trasformato il granaio in un innovation Center. Spazio fisico e virtuale. Perché qui si lavora con la testa e con la rete grazie a una pluralità di start up che vengono accolte, incubate, accelerate e proiettate verso mercati internazionali. È la nuova via all’innovazione che aggrega per non disperdere business, idee, talenti. Qui ha sede anche Nana Bianca, che intercetta realtà legate al digital deep marketing, ossia alle tecnologie che abilitano la relazione col cliente connesso. Tecnologie evolute che si esplicitano in soluzioni di intelligenza artificiale e cyber sicurezza.
Effetto moltiplicatore
«Rappresentiamo un modello particolare di start up studio perché la nostra attività si muove su più fronti, moltiplicando il valore del networking e della contaminazione di idee. Non ci limitiamo a sostenere le start up individualmente, ma generiamo un effetto moltiplicatore: ogni elemento del nostro ecosistema – dai programmi di accelerazione al coworking – si rafforza a vicenda, creando un ambiente fertile in cui le nuove idee possono non solo nascere, ma anche crescere più velocemente», afferma Paolo Barberis, co-fondatore di Nana Bianca, realtà nata nel 2012 e che conta 30 persone con un portafoglio di circa 10 milioni di euro di investimento diretto in start up in 12 anni e con 8 exit tra cui l’unicorno Depop. In totale sono state 140 le realtà supportate e oltre 60 nel perimetro dello start up studio. Si sviluppano tecnologie verticali: dall’online marketing all’education, dall’agritech al fashion, dalla cybersecurity al fintech, dall’energy al gaming. Si guarda lontano, ma si crea valore nella comunità. Nella relazione di impatto emerge la scalabilità per il territorio.
Un valore di 582 milioni di euro
«Queste start up hanno prodotto un valore di 582 milioni di euro di ricchezza complessiva dando lavoro a oltre 1.600 persone. Di queste il 63% ha scelto di aprire i suoi uffici nel territorio toscano», precisa Barberis. A fare la differenza è il modello start up studio, un processo di imprenditoria che permette di creare più start up in parallelo fornendo supporto alle aziende dall’ideazione all’exit. Una visione a lungo termine che punta su creazione del team, sviluppo del prodotto e vendita sul mercato, fino alla fase di scaling. Così gli start up studio investono e accompagnano le start up nel tempo necessario allo sviluppo del modello. «Gli start up studio sono un nuovo asset che sistematizza la creazione di start up, migliorandone il successo rispetto ai modelli tradizionali. Inoltre possono amplificare significativamente il tasso di successo e offrire opportunità straordinarie», afferma Farhad Alessandro Mohammadi, co-autore di “Startup Studio Manifesto” scritto con Manuela Maiocco. Così le nuove imprese fanno sistema. Secondo Enhance Ventures, start up studio di Dubai, ci sono 903 realtà in tutto il mondo mentre per il report “The Rise of Startup Studios” le aziende create in questi spazi ottengono finanziamenti iniziali due volte più velocemente, escono il 33% più velocemente di quelle convenzionali e il 60% di loro sono più indirizzate a raggiungere una capitalizzazione di fascia A.
Logica a filiera integrata
Chi per primo ha creduto in questo modello sono stati i grandi investitori: Peter Thiel, Marc Andreessen, Jeff Bezos e Richard Branson. Ma lo start up studio, importato dai mercati americani, viene personalizzato in Italia. Una logica a filiera integrata che richiama quella del più noto distretto italiano espressione del sapere e del fare. Da Firenze con Nana Bianca a Torino. Qui sei anni fa nasce Mamazen, che crea start up per semplificare i processi di micro-imprese migliorando l’esperienza cliente e la gestione operativa. Negli anni ha lanciato 8 start up e punta a raggiungerne 15 entro il 2026. Il team include venture architect, strategist e specialisti di prodotto ed è formato da 9 persone. Si lavora col modello dual entity: gli introiti sono legati alle exit lanciate. A Milano nel 2020 nasce Startup Bakery impegnata a creare start up sostenibili SaaS B2B, con una proiezione di entrate superiori ai cinque milioni di euro già per il 2025. Si opera sui mercati partendo anche dal software proprietario QuSeed, che individua in anticipo i trend dell’innovazione. Intanto in soli quattro anni di attività sono stati chiusi due accordi di exit. La forza passa ancora dall’ascolto. «Pensiamo che le nostre città e i nostri giovani abbiano bisogno di luoghi dove confrontarsi e capire dove va il futuro. In poco più di due anni, anche con la Fondazione Cr Firenze, abbiamo organizzato 223 eventi sulla cultura del digitale con oltre 11mila presenze», conclude Barberis. Guardare lontano, creando però valore per ciò che è vicino, quasi sotto casa. Per decodificare la complessità abbiamo bisogno di lenti bifocali che possano declinare al meglio il tessuto imprenditoriale italiano.
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