
Dalla Spagna alla Grecia: modelli a confronto
In Europa, i modelli sono molto diversi. In Spagna, La Voz del Patio, il giornale del carcere di Burgos, rappresenta un caso quasi unico. Nato nel 2019, è una pubblicazione cartacea di 24 pagine, con una tiratura di 7 mila copie, distribuite anche nei bar e nei negozi della città. La redazione è composta da nove detenuti affiancati da quattro giornalisti professionisti. «Qui ci sono persone che hanno sbagliato e che la società tende a escludere, ma restano parte della società», spiega Víctor Cámara, educatore e coordinatore del progetto, sottolineando il valore del giornale come strumento di reinserimento.
In Grecia, invece, l’esperienza è molto più limitata. Solo il carcere minorile di Avlona ha un giornale regolare, prodotto non dall’amministrazione penitenziaria ma dalla Second Chance School interna all’istituto. Proprio questa collocazione “scolastica” garantisce un’ampia libertà di espressione. Il giornale è realizzato interamente dagli studenti-detenuti, con il supporto pedagogico degli insegnanti, e ha ospitato anche un’intervista al Presidente della Repubblica, con domande scelte dagli stessi ragazzi.
Il caso ungherese e l’approccio istituzionale
All’estremo opposto si colloca l’Ungheria, dove il Börtönújság (Giornale del carcere), fondato nel 1898, è una pubblicazione istituzionale, scritta prevalentemente dal personale penitenziario. Con 48 pagine e una tiratura di 3 mila copie, il giornale ha un forte taglio informativo ed educativo: diritti e doveri, programmi di formazione, cambiamenti normativi, vita religiosa e attività culturali. Anche in questo caso, l’obiettivo dichiarato è il reinserimento, ma lo spazio di autonomia narrativa dei detenuti resta limitato.
La voce militante in Francia
In Francia il giornalismo carcerario trova una delle sue espressioni più radicali in L’Envolée, giornale militante prodotto all’esterno ma alimentato da lettere e testimonianze che arrivano dalle carceri. «L’Envolée vuole essere una cassa di risonanza per i detenuti che lottano contro il loro destino», si legge nella presentazione del progetto, che rivendica l’indipendenza dal controllo dell’amministrazione penitenziaria. Accanto a questa esperienza, l’Osservatorio internazionale delle prigioni pubblica Dedans Dehors, una testata professionale che unisce inchiesta giornalistica e lavoro di rete con detenuti e famiglie.
Un equilibrio sempre instabile
Il giornalismo dal carcere si muove in uno spazio che le istituzioni guardano con sospetto: da un lato, il modo in cui il carcere viene raccontato all’esterno; dall’altro, la circolazione di informazioni all’interno degli istituti. Eppure, come osserva Scandurra, queste esperienze sono il frutto di battaglie quotidiane portate avanti da associazioni e volontari, e sopravvivono solo grazie alla qualità del lavoro svolto.





