Il salvacondotto approvato alla Camera dalle commissioni Affari costituzionali e Giustizia nella riforma della Corte dei conti apre un ombrello generalizzato per i politici, a partire da sindaci, presidenti, assessori e consiglieri regionali e locali. Nel correttivo, proposto da Augusta Montaruli e Luca Sbardella di FdI e anticipato dal Sole 24 Ore di ieri, la «buona fede» che ferma le contestazioni dei magistrati contabili andrà «presunta fino a prova contraria» per l’adozione e l’attuazione di atti «proposti, vistati o sottoscritti dai responsabili degli uffici tecnici o amministrativi».
Ma tutti gli atti, dalle delibere ai rimborsi spese, vengono proposti o vistati dai tecnici dell’amministrazione. L’ombrello si chiuderà dunque solo se c’è il dolo (da provare sia per i dirigenti sia per i politici) e quando si andrà avanti nonostante pareri contrari, «interni o esterni». La nuova regola si applicherebbe anche ai processi in corso al tempo della sua approvazione definitiva, come richiede il favor rei.
L’appello dell’Anm contabile
Dopo un letargo durato quasi un anno la riforma della Corte dei conti si è risvegliata alla Camera, e punta al primo via libera la settimana prossima per arrivare all’Aula dal 31 marzo. Il «Ddl Foti», presentato il 19 dicembre 2023 dall’attuale ministro per il Pnrr quand’era capogruppo di Fratelli d’Italia, è tornato quindi a scaldare gli animi in Corte dei conti, dove le opinioni non sono unanimi ma l’allarme dell’Associazione nazionale dei magistrati è alto. Ieri l’Anm contabile ha lanciato un appello aperto ai presidenti di Camera e Senato: «Chiediamo di essere ascoltati, serve una riforma ponderata per non cancellare il ruolo della magistratura contabile quale garante imparziale della corretta gestione delle risorse pubbliche», ha detto la presidente dell’Associazione Paola Briguori, riprendendo testualmente la definizione della Corte data dal Capo dello Stato Sergio Mattarella il 2 dicembre nell’incontro al Quirinale con i referendari di nuova nomina.
Più prevenzione, meno condanne
Obiettivo di Governo e maggioranza è di potenziare il ruolo consultivo e preventivo della Corte, combattendo la «paura della firma» con una netta attenuazione dei rischi di vedersi chiamati a risarcire somme pesanti per danno erariale. Va in questa direzione il nuovo tetto alle condanne, approvato giovedì in commissione, che impedirà ai giudici di chiedere importi «superiori al 30% del pregiudizio accertato» o al doppio della retribuzione (nel caso dei dipendenti pubblici), del corrispettivo o dell’indennità. In pratica, le condanne incoproreranno in automatico uno “sconto” del 70% e un tetto che però nei (numerosi) incarichi gratuiti sarà pari a zero: per com’è scritta, nei molti casi di uffici ricoperti senza indennità (per esempio da pensionati) le condanne sembrano escluse a priori.
Calendario stretto
I temi sono molti ma il tempo stringe, perché il 30 aprile scade lo scudo erariale che impedisce contestazioni per colpa grave limitando l’azione delle procure ai casi di dolo. La Consulta (sentenza 132/2024) ha definito «non immaginabile» l’introduzione dello scudo in modo stabile, complicando la strada per altre proroghe: ma un primo via libera della Camera alla riforma potrebbe offrire qualche argomento in più a un nuovo rinvio temporaneo.