Nell’ultimo rendiconto dello Stato lo sconfinato magazzino della riscossione, che accumula 1.279 miliardi di debiti fiscali accertati ma mai pagati tra il 2000 e 2024, è svalutato al 96,14%. In pratica, solo il 3,86% degli arretrati è ancora considerato ufficialmente un credito vero e proprio.
La maxi svalutazione
Il dato è emerso ieri in commissione Finanze del Senato nell’audizione delle ragioniera dello Stato, Daria Perrotta, nell’ambito dell’indagine conoscitiva del magazzino fiscale che Palazzo Madama chiuderà nelle prossime settimane ascoltando il ministro dell’economia, Giancarlo Giorgetti e il suo vice Maurizio Leo. Le tabelle della Ragioneria mettono in luce i dettagli dei «capitoli di entrata nei quali si concentrano le quote predominanti delle somme rimaste da riscuotere in conto residui». Degli 887,5 miliardi di arretrati originali, restano nei saldi 34,26 miliardi: nei ruoli Irpef su 107,2 ne restano 4,14, nell’Ires si passa da 76,6 a 2,96 miliardi e nell’Iva la montagna dei 261,8 miliardi di arretrati si erode fino a quota 10,1 miliardi.
Questo abbattimento è previsto dalle leggi di contabilità che risalgono su fino al Regio decreto 827 del 1924. Ma le percentuali, ha aggiunto Perrotta, dipendono dal peso delle posizioni relative a soggetti falliti, soggetti deceduti o ditte cessate o ai casi in cui le azioni esecutive o cautelari hanno dato esito negativo.
Il super abbattimento ha in sé una notizia negativa e una positiva. La prima riguarda la condizione sostanziale del Fisco italiano e conferma tassi di riscossione rasoterra già emersi la scorsa settimana con gli interventi a Palazzo Madama del Dipartimento Finanze e dell’agenzia delle Entrate. La seconda guarda invece alle conseguenze per la finanza pubblica di un eventuale superamento del magazzino. Da gestire, insomma, ci sarebbe solo quel 3,85% di crediti ancora pienamente nei conti.
I rischi di nuove rottamazioni
Questo non significa però che la partita possa essere gestita a cuor leggero. Perché, avverte la Ragioniera, nuove rottamazioni «determinerebbero effetti negativi su tutti i saldi di finanza nel complesso del periodo considerato», con l’addio a sanzioni, interessi e aggi. Ma anche operazioni di cessione o di cartolarizzazione dei crediti con l’intervento di soggetti esterni al perimetro della Pa si tradurrebbero contabilmente in un prestito nei confronti dello Stato con una conseguente imputazione in termini di debito pubblico. E lo stesso potrebbe accadere nel caso di «affidamento della riscossione a soggetti terzi senza una cessione del portafoglio», perché l’eventuale pagamento anticipato del cosiddetto service (cioè il gestore) impatterebbe comunque sul debito.