Storie Web giovedì, Giugno 12
Notiziario

Nel giugno del 2024, nel cuore del G7, tra gli algoritmi del potere e le retoriche della crescita illimitata, Papa Francesco ha fatto irruzione come corpo estraneo, pronunciando parole che non sono semplicemente parole, ma atti. Il suo intervento sull’intelligenza artificiale non si è limitato a una preoccupazione morale o a un appello alla responsabilità: ha smascherato il vero volto di ciò che stiamo costruendo — o lasciando che venga costruito — senza reale consapevolezza.

Non siamo di fronte a un semplice avanzamento tecnologico, ma a una ristrutturazione profonda della condizione umana. Le macchine non si limitano a “fare”, ma cominciano a “decidere”, e in questo slittamento semantico e pratico si gioca il nostro futuro. Il Papa lo sa bene: ogni scelta delegata a una macchina non è solo una perdita di controllo, ma una rinuncia alla nostra stessa libertà. Non è l’AI il problema, ma la forma di mondo che essa presuppone e riproduce: un mondo calcolabile, prevedibile, funzionale, dove il margine dell’imprevisto — cioè della vita — viene eroso.

Non basta parlare di etica

Nel suo discorso, Francesco ha rifiutato l’illusione dell’oggettività algoritmica, ricordandoci che ogni tecnologia incarna un’idea di uomo, una visione del reale, una gerarchia di valori. L’AI non è mai neutrale, e la sua apparente imparzialità nasconde spesso il volto più oscuro del potere. In questo senso, parlare di etica non basta. Serve un nuovo pensiero critico, capace di riconoscere nella tecnologia non solo uno strumento, ma un ambiente, un dispositivo che plasma soggettività, relazioni, immaginari.

Papa Francesco partecipa alla VI Sessione – Intelligenza Artificiale, Energia, Africa-Mediterraneo con i leader del G7 e i leader di stato durante il vertice di Borgo Egnazia a Brindisi, Italia, 14 giugno 2024. (ANSA / Giuseppe Lami)

Ma proprio qui si apre uno spiraglio: Francesco, in fondo, compie un gesto simbolico potente. Non chiede semplicemente di “regolare” l’intelligenza artificiale, ma di sottrarla alla sacralità che oggi la circonda. Ne desacralizza il linguaggio, ne rompe l’incantesimo, invita a ripensarla a partire dall’umano e per l’umano. È un invito a profanare il dispositivo, a restituirlo all’uso comune, alla comunità, a ciò che non è produttivo ma generativo. È questo il compito che ci viene consegnato.

Un’Ai che non alimenti le diseguaglianze

In questa direzione, questo Papa ci lascia anche una traccia su cui lavorare: mettere sulla via della fraternità — quella stessa evocata con forza nell’enciclica Fratelli Tutti — anche lo sviluppo delle tecnologie che stiamo volendo, prima fra tutte l’intelligenza artificiale. Non basta immaginare un’AI “giusta” o “responsabile”: occorre un’AI che partecipi al progetto di una civiltà basata sulla cura, sull’incontro, sulla costruzione di legami. Un’AI che non alimenti nuove disuguaglianze, ma apra strade di cooperazione, mutualismo e dignità condivisa.

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