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I medici italiani sono sempre meno, perché vanno in pensione o scelgono di lavorare all’estero. Cala il numero di posti letto, gli ospedali chiudono, le prestazioni sanitarie non sono garantite. L’appello di 75 società scientifiche al governo: “Salviamo il Ssn con una riforma strutturale”.

È un appello che si rivolge al governo Meloni chiedendo di fermare i tagli alla sanità, rinunciare all’autonomia differenziata e concentrare le risorse su una riforma strutturale, per garantire un aumento degli stipendi, del personale medico, dei posti letto e delle prestazioni fornite. A lanciarlo è un forum che raccoglie settantacinque società scientifiche di clinici ospedalieri e universitari. I problemi sono tanti, e la richiesta li mette in fila.

Innanzitutto ci sono i posti letto: “In appena due anni, durante l’emergenza Covid, addirittura il numero dei posti letto è diminuito”, riporta il Forum. “Ne sono stati tagliati 32.508: nel 2020 erano 257.977, ridotti a 225.469 nel 2022”. Oggi la media italiana per quanto riguarda i posti letto è decisamente bassa: nei reparti ordinari ce ne sono 314 per ogni 100mila abitanti, mentre la media Ue è di 550; guardando alla terapia intensiva, in Italia si va a circa dieci posti letto ogni 100mila abitanti, mentre in Francia sono oltre venti e in Germania trenta. Non mancano solo i posti, ma anche le strutture: in dieci anni sono stati chiusi 95 ospedali di cui 67 erano pubblici (più di uno su dieci).

Poi c’è la questione del personale: “L’età media dei medici è sempre più elevata, con ben il 56% che ha più di 55 anni rispetto al 14% della Gran Bretagna e percentuali anche più basse in altri Paesi”. Entro il 2025 circa 29mila medici e 21mila infermieri andranno in pensione, e non basta il piano della ministra dell’Università Bernini per formare 30mila nuovi medici nei prossimi sette anni: i tempi dell’emergenza sono ben più stretti.

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Chi non è anziano, spesso abbandona il Servizio sanitario nazionale per altri motivi: “Circa 11.000 clinici ospedalieri (non in età da pensione) hanno scelto di lasciare le strutture pubbliche fra il 2019 e il 2022. E sempre più giovani, formati a spese dello Stato (circa 150mila euro ognuno) vanno all’estero, dove ricevono stipendi anche tre volte superiori rispetto all’Italia e con condizioni di lavoro nettamente migliori”.

Questo porta a una situazione in cui la sanità pubblica non riesce a stare dietro alle richieste dei cittadini. Oggi più della metà delle Regioni non garantisce “non la totalità, ma neppure la minima sufficienza dei Livelli Essenziali di Assistenza (Lea), cioè le cure considerate fondamentali”, si legge. E non si tratta di dati di parte, ma di rilevazioni del ministero della Salute. Per questo, il Forum chiede “come sia possibile solo pensare in queste condizioni al varo della legge sull’autonomia differenziata”, quando ci sono “gravissime carenze strutturali ed organiche” che richiederebbero di aumentare il sostegno alle Regioni più in difficoltà.

In questo contesto, sempre più persone devono pagare di tasca propria per curarsi, e molte non possono permetterselo. E se negli ultimi anni i governi hanno sempre “operato tagli irresponsabili”, l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni non fa eccezione: “Nel 2024, il finanziamento del Fondo sanitario nazionale è aumentato in termini assoluti rispetto al 2021, ma è diminuito rispetto al Pil ed eroso in modo molto consistente dalla maggiore inflazione”. In più, i soldi sono stati usati soprattutto “per aumenti contrattuali irrisori del personale, che non sono in grado di contenere l’esodo dei medici”.

Quello che serve quindi è “una riforma strutturale e di sistema degli ospedali, con lo stanziamento di risorse davvero adeguate per rispondere ai principali parametri in vigore negli altri Paesi europei e con la vera realizzazione delle reti territoriali per patologie”. L’Ocse auspicherebbe addirittura un aumento annuo da 25 miliardi di euro, una somma probabilmente impossibile da trovare in questo momento. Bisognerebbe almeno iniziare permettendo più assunzioni di personale, oggi bloccate dal tetto di spesa: ma manca la programmazione, e così ci si trova “ad inserire nei servizi specializzandi, anche dei primissimi anni di corso”.

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