Storie Web domenica, Giugno 23
Notiziario

Mancano non più di tre mesi e mezzo alla “deadline” orientativa per la definizione della manovra economica per il 2025 da inviare in Parlamento entro il 20 ottobre. E, quindi, anche alla scelta del governo sulle pensioni per affrontare nel 2025 il “post Quota 103, Ape sociale e Opzione donna”. Dopo il tavolo tecnico con i sindacati dello scorso, peraltro conclusosi senza esito, l’esecutivo all’inizio di quest’anno ha messo in naftalina la questione-previdenza, a causa della difficile situazione della finanza pubblica. Ma, superata la tornata delle elezioni europee, con l’avvicinarsi della legge di bilancio il cantiere-pensioni comincia a ravvivarsi. La Lega ha ribadito che Quota 41, ovvero la possibilità di uscire con 41 anni di versamenti a prescindere dall’età anagrafica, resta un obiettivo prioritario da centrare rapidamente. Ma il non brillante risultato elettorale ottenuto da Matteo Salvini sembra ridurre gli spazi di trattativa del Carroccio all’interno della maggioranza. Allo stesso tempo, però, al Cnel prosegue l’attività del gruppo di lavoro creato dal presidente Renato Brunetta per definire un documento organico sulle pensioni da presentare a luglio, che sarà seguito, ai primi di ottobre, dalla predisposizione di una proposta di disegno di legge di riorganizzazione del sistema previdenziale. E una delle varie proposte che si stanno valutando a Villa Lubin prevede un sostanziale ritorno allo schema della legge Dini con una flessibilità in uscita calibrata su una gamma di età comprese dai 64 ai 72 anni, senza più, pertanto, il ricorso al sistema delle Quote.

Il peso dell’assegno aumenterebbe andando in pensione più tardi visto che il ventaglio delle nove età (invece del ventaglio delle 16 attuali, prodotte anche per effetto delle deroghe alla legge Fornero) verrebbe traslato nei nuovi coefficienti di trasformazione. Contemporaneamente la soglia per il pensionamento di vecchiaia salirebbe a 67 anni con almeno 25 anni di contributi o un importo di pensione pari ad 1,5 volte l’assegno sociale (invece degli attuali 67 anni più 20 di versamenti).

Questa, per il momento, è solo una delle proposte che stanno prendendo forma al Cnel, per arrivare alle scelte definitive per la definizione del documento finale da mettere a punto a luglio, sulla base dei contributi che giungono dal gruppo di lavoro coordinato da Domenico Garofalo e composto da Antonietta Mundo, Guido Canavesi, Giuliano Cazzola, Silvia Ciucciovino, Maria Cristina Degoli, Mauro Franzolini, Mauro Marè, Valeria Picchio e Michele Raitano. Prima di mettere a punto il dossier definitivo dovrebbero essere realizzati, già nella prima parte di luglio, quattro documenti tecnici relativi ad altrettanti temi: casse dei liberi professionisti; previdenza complementare; previdenza obbligatoria; contribuzione.

Molta attenzione dovrebbe essere dedicata al tema dei pensionamenti anticipati. In un contributo di Mundo si fa notare, ad esempio, che per le 104.806 pensioni anticipate del Fondo lavoratori dipendenti Inps, che 2023 hanno assorbito il 91,8% dei trattamenti anticipati liquidati ai dipendenti privati neo pensionati, si sono rilevate età medie effettive per l’uscita anticipata di 61 anni con importi medi mensili di 2.035 euro lordi. E si aggiunge che le pensioni anticipate sono quelle che presentano le durate più lunghe e gli importi medi più alti rispetto a tutte le altre categorie, anche per effetto dell’aumento progressivo della longevità per entrambi i generi. In particolare, il 50% dei trattamenti di anzianità o anticipati provenienti dal passato ha durate almeno trentennali e oltre. Che si ridurrebbero sensibilmente con l’adozione della schema flessibile d’uscita dai 64 ai 72 anni. Ma il governo sembra orientato a rinviare la riforma delle pensioni a tempi migliori. Lo sguardo dell’esecutivo, e della maggioranza, per ora resta puntato sul “dopo Quota 103” e anche su un’eventuale ulteriore stretta al meccanismo di indicizzazione degli assegni pensionistici.

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