Storie Web lunedì, Dicembre 1
Notiziario

 Per Cgil e Spi «è evidente che, dopo una perdita cumulata di potere d’acquisto superiore al 10% nel solo 2022–2023, un incremento di questa entità è insufficiente a ristabilire l’equilibrio economico dei pensionati».

Tra il 2022 e il 2026 l’aumento del 16% è solo sulla carta, nella gran parte dei casi è del 12-13%

L’analisi della Cgil e dello Spi allarga lo sguardo all’andamento delle pensioni tra il 2022 e il 2026, periodo nel quale l’incremento lordo derivante dalla sola perequazione delle pensioni è stato del 16,46%. Una pensione lorda di 800 euro mensili nel 2022 passa a 932 euro lordi nel 2026 (+16,46%), mentre il netto cresce solo da 757 a 850 euro (+12,27%). Prendiamo una pensione lorda di 1.000 euro che sale 1.165 euro lordi nel 2026 (+16,46%), ma il netto passa da 898 a 1.014 euro (+12,93%). Anche per importi più elevati il fenomeno è analogo: una pensione lorda di 2.000 euro passa a 2.329 euro (+16,46%), ma il netto passa da 1.591 a 1.824 euro (+14,68%). In sintesi, «l’incremento lordo del +16,46% nella maggior parte dei casi si ferma intorno al 12–13% di incremento, ben sotto l’inflazione, segnando un distacco crescente tra aumento formale e capacità reale di spesa».

La dinamica delle aliquote medie Irpef conferma questo effetto: per una pensione lorda di 800 euro l’aliquota media passa dal 5,38% nel 2022 all’8,78% nel 2026, per una pensione lorda di 1.000 euro si passa dal 10,19% del 2022 al 12,91% del 2026, e per una di 1.500 euro la pressione fiscale sale dal 17,07% del 2022 al 18,42% del 2026.

«È evidente che una quota non trascurabile della rivalutazione finisce per essere assorbita dal fisco, trasformando la perequazione non in un reale ripristino del potere d’acquisto, ma in un meccanismo che contribuisce soprattutto al recupero del gettito fiscale eroso dall’inflazione» concludono Cgil e Spi che invitano i pensionati a partecipare allo sciopero generale del 12 dicembre.

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