Trentaquattro anni dopo il delitto del giudice Antonino Scopelliti, la Polizia torna sul luogo del delitto per nuovi rilievi scientifici. Scopelliti fu assassinato nella sua auto a Villa San Giovanni, in Calabria, a soli 56 anni. Scopelliti fu ucciso a bordo della sua automobile, mentre rientrava in paese dopo avere trascorso una giornata al mare. Il giudice era tornato in Calabria per trascorrere le vacanze estive. All’altezza di una curva, poco prima del rettilineo che immette nell’abitato di Piale, una frazione di Villa San Giovanni, fu ucciso, almeno due persone a bordo di una moto, con fucili caricati a pallettoni. Scopelliti, colpito da due colpi alla testa, morì subito e la sua auto, senza controllo, finì in un terrapieno.
Sul luogo del delitto l’auto del giudice
La svolta nelle indagini, 34 anni dopo, arriva grazie a una serie di verifiche su documenti e accertamenti balistici effettuati sull’arma sequestrata a luglio del 2018. Per effettuare i rilievi, la polizia scientifica ha riportato sul luogo del delitto – la frazione Ferrito di Villa San Giovanni a Piale di Campo Calabro – la Bmw 318i del giudice, custodita in tutti questi anni dai familiari. Sul posto è stata portata anche una moto Honda Gold Wing 1200 che, stando alla versione del pentito Maurizio Avola, sarebbe stata utilizzata per portare a termine l’agguato. Il modello della moto è identico a quello che sarebbe stato utilizzato, ma di un altro colore. Si tratta di una moto di proprietà di un signore di Messina, messa a disposizione della Squadra mobile di Reggio Calabria per eseguire la ricostruzione della dinamica. La procura di Reggio Calabria, diretta da Giuseppe Lombardo, ha anche dato incarico alla Beretta di ricostruire fedelmente il modello dell’arma utilizzata dai killer. Si tratta di un fucile calibro 12 di marca Arrizabala che è stato portato sulla scena del delitto. Sul posto è presente la magistrata della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria Sara Parezzan.
Scopelliti era entrato in magistratura a soli 24 anni
Entrato in magistratura a soli 24 anni, Scopelliti aveva esordito nella carriera di magistrato requirente come pubblico ministero presso le Procure della Repubblica di Roma e Milano, assumendo poi l’incarico di procuratore generale presso la Corte d’appello e rappresentando, infine, la pubblica accusa presso la Corte di Cassazione, dove si occupò di maxi processi di mafia e terrorismo, tra i quali, per esempio, il primo processo ’Moro’, il sequestro dell’Achille Lauro, la Strage di Piazza Fontana e quella del Rapido 904. Qualche settimana prima di essere ucciso era stato designato, seppur ancora informalmente, a rappresentare la Procura generale contro i ricorsi presentati contro la sentenza emessa dalla Corte di Assise di Palermo nel dicembre 1990 nell’ambito del Maxiprocesso contro Cosa Nostra.
La pista siciliana
Proprio per questo gli inquirenti avevano percorso sin da principio la pista siciliana, ipotizzando il coinvolgimento di esponenti di vertice di Cosa Nostra, che avrebbero operato con il nullaosta della ’ndrangheta calabrese. All’epoca alcuni collaboratori di giustizia evidenziarono il ruolo determinante di Cosa Nostra nella definizione della seconda guerra tra cosche del reggino. Nell’aprile del 1993, vennero arrestati, in concorso con i maggiorenti della Cupola palermitana, anche i calabresi Antonino, Antonio e Giuseppe Garonfolo, esponenti di vertice dell’omonima consorteria operante a Campo Calabro (collegata ai De Stefano), nonché il noto killer della ‘ndrangheta Gino Molinetti. Ci furono due processi istruiti presso il Tribunale di Reggio Calabria: uno contro Salvatore Riina, in concorso con sette membri della ’Commissione’ di Cosa Nostra, e un secondo contro Bernardo Provenzano, nel quale risultavano coinvolti, tra gli altri, anche Filippo Graviano e Nitto Santapaola.
Tutti gli imputati assolti in appello
Tutti gli imputati, condannati in primo grado, furono assolti dalla Corte d’Appello. Le investigazioni, mai interrotte, hanno fatto registrare un elemento di novità nell’estate del 2018, quando il collaboratore di giustizia Maurizio Avola si autoaccusò dell’omicidio, dichiarandosi parte del commando di fuoco che operò a Piale di Campo Calabro e facendo rinvenire agli inquirenti la presunta arma del delitto: un fucile calibro 12 di fabbricazione spagnola sotterrato nel giardino di una villetta situata nel Comune di Belpasso (Ct). Nel 2007, su iniziativa della figlia Rosanna Scopelliti, è stata costituita una fondazione intitolata al magistrato.