In ambito culturale l’Italia è prima in Europa per presenza di lavoratori autonomi ma si colloca nelle retrovie quanto a partecipazione dei più giovani. I dati dall’ultimo Rapporto di Federculture riflettono una realtà sfaccettata dell’occupazione in un settore strategico per il Belpaese. Recuperato quasi del tutto il tracollo della fase pandemica, i nuovi ingressi nel comparto vedono in prevalenza più forti le quote di donne e laureati. Chiaro segnale di una tendenza.
I numeri
L’incremento dell’impiego nel settore, registrato tra il 2019 e il 2024, ha riguardato esclusivamente le lavoratrici (+6,2%), in decisa controtendenza rispetto alla componente maschile (-1,2%). Questo andamento si discosta da quello osservato per l’occupazione complessiva, dove l’espansione ha interessato entrambi i generi (con un aumento del +4% per le donne e del +3,2% per gli uomini). «La riattivazione dei posti di lavoro culturali è stata trainata principalmente dalle persone con più di cinquant’anni (+21,1%), anche in conseguenza del progressivo invecchiamento della popolazione in età lavorativa. Ma ha interessato soltanto i soggetti in possesso di una laurea (+15,1%)», osserva la ricercatrice dell’Istat, Barbara Boschetto, che ha curato a quattro mani l’analisi contenuta nel Rapporto.
In relazione agli altri Stati europei l’impiego culturale in Italia, come avviene per l’occupazione nel complesso, coinvolge meno la fascia d’età più giovane e in misura maggiore quella più adulta: in Italia, la quota dei lavoratori culturali tra i 15 e i 29 anni ammonta al 12,8% (contro il 18,1% della media europea), posizionando il Paese al penultimo posto nella graduatoria Ue (superiore solo alla Croazia, 8,5%); per contro, la percentuale di occupati culturali over 50 è pari al 38,6%, cifra che pone l’Italia al vertice della classifica. «Nonostante la maggioranza dei lavoratori culturali italiani abbia un titolo di studio pari o superiore alla laurea (50,4%), questa percentuale relega comunque l’Italia all’ultima posizione tra i Paesi comunitari per incidenza di occupati culturali con una qualifica universitaria», aggiunge Boschetto secondo cui la situazione «riflette il livello di istruzione generalmente meno elevato del mercato del lavoro nazionale».
Indipendenti in testa
L’Italia detiene il primato europeo per la proporzione di lavoratori autonomi: quasi la metà degli individui impiegati in professioni culturali opera come indipendente (46,3%), contro una media Ue poco al di sotto del 32 per cento. Il divario italiano rispetto all’Europa si attesta a 6,6 punti percentuali per la quota di autonomi nell’occupazione totale, raggiungendo i 14,6 punti nell’ambito culturale. A livello regionale, il quadro presenta delle disomogeneità: la percentuale di occupazione culturale rispetto al totale si attesta o supera il valore medio del 3,5% in solo sette Regioni del Centro-Nord (Lazio, Umbria, Toscana, Lombardia, Trentino Alto Adige, Veneto, Emilia Romagna), mentre in quattro Regioni del Mezzogiorno non raggiunge il 2,5% (Calabria, Puglia, Sardegna e Molise).
I ruoli più diffusi
I ruoli culturali più frequenti sono quelli di architetti, designer e arredatori di interni, che costituiscono il 27,4% dell’occupazione culturale complessiva, in aumento del +9,2% rispetto al 2019. Seguono, con l’11,8% (+6,0% rispetto al 2019), gli artigiani culturali, tra cui liutai, gioiellieri, vasai, vetrai, pittori decorativi e lavoratori del legno, vimini, tessuti e pellami. Il 10,0% è costituito da artisti, musicisti, attori e cantanti, in crescita del +25,4% dal 2019. Più contenuta (3,7%) e in decremento rispetto al 2019 è la presenza di archivisti, bibliotecari e, in generale, di addetti a professioni tecnico-impiegatizie in biblioteche e musei.











