Storie Web lunedì, Maggio 20
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Protomaranza, il nuovo disco degli Articolo 31 è alle porte, dopo il ritorno sanremese con Un bel viaggio e il successo estivo di Disco Paradise. Qui l’intervista a J-Ax.

Gli Articolo 31

Dopo il successo estivo di Disco Paradise, ma soprattutto il ritorno sanremese con Un bel viaggio, gli Articolo 31 ritornano oggi, 10 maggio, con il nuovo album Protomaranza. Diciannove tracce, con le collaborazioni di Fabri Fibra, Rocco Hunt, Jake La Furia, ma anche Tedua, Nina Zilli e per gli amanti del rap italiano, Neffa nella traccia Contrabbando. Già dall’intro, il gruppo fa capire che Protomaranza non sarà un disco di auto-riflessione sulla propria carriera, ma “volevo scrivere qualcosa in cui dico che dobbiamo divertirci perché il tempo va veloce“. Il gruppo sarà protagonista anche il prossimo 9 ottobre al Forum di Milano per un concerto storico. Nell’intervista J-Ax, che era nel suo studio di Milano, ci ha parlato di Capitalismo, discografia, delle montagne russe del successo, di droghe, fan, Rai e di come non si aspettasse di arrivare vivo a 51 anni. Qui l’intervista a J-Ax.

Dopo così tanti album, c’è ancora l’ansia dell’uscita?

No, ma al giorno d’oggi bisogna mettersi il cuore in pace. Sono contento, fondamentalmente, perché mi piace il disco, anche se non lo do mai a vedere perché sono sempre molto insicuro. Invece questo qua mi piace proprio, anche perché se non mi piacesse con tutti gli ascolti che ho fatto! (ride n.d.r). In più sono impaziente di farlo sentire anche agli altri.

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L’album si chiama Protomaranza, ma potrebbe sembrare un concept album su Capitalismo, derive e vittime.

Forse ti riferisci a Libertario Surf o a Chi se ne frega di noi, ma non era pensato come un concept album sul Capitalismo.

Anche se il tema entra in diverse canzoni.

Ci sono dovuto entrare per forza in certi argomenti. Tipo Libertario Surf l’ho scritta perché nella vita pubblica mi sono schierato contro i politici di destra, ovviamente, perché sono un progressista e combatto i conservatori. In molti pensano che visto che combatto verbalmente certe cose che dicono i politici di destra, sia del Pd, ma è un’allucinazione perché in realtà sono libertario. Però l’italiano è portato a pensarla sempre in modalità derby, cioè uno contro l’altro.

Invece?

Il male del Capitalismo è che ha bisogno di nutrirsi di povertà, se invece fosse come quello immaginato, come quello su carta, avremmo tutti la stessa possibilità. Al contempo abbiamo visto il Comunismo finire in dittatura: è successo mille volte, no? E quindi, alla sua antitesi va a finire che difende una strettissima élite, ancora di più del Capitalismo.

Quindi come ti definiresti?

Io sono libertario, è un concetto molto teorico, anche quello molto difficile da applicare. Però l’ho scritto, libertario e finito dentro il Capitalismo.

Mentre in Chi se ne frega di noi c’è un discorso sull’appropriazione culturale?

A un certo punto dico: “Eravamo bambini bianchi che rubavano la musica dei neri, come dei colonialisti veri, oggi come ieri”. Non dimentichiamo che tutta la musica che ascoltiamo oggi, dai Beatles in poi, fa parte di una di una colonizzazione culturale, quello che abbiamo portato noi sono la musica classica e la lirica.

Mentre in Contadino ritorna la questione del lavoro: da dove nasce?

Contadino è ispirata da Highwayman di Willie Nelson (e gli Highwaymen). Ascolto molto il country conscious, quindi mi sono fatto qualche domanda anche le mie origini: mio nonno era un contadino e ho realizzato che anche noi italiani arriviamo dalla schiavitù, infatti il campo che lavoravano non era loro ma apparteneva a latifondisti che pagavano una miseria. Mi sono detto che mio figlio deve sapere queste cose e ho fissato tutto in una canzone.

Facendo un passo indietro, l’album comincia con: “Ehi Jad, lo sai che non mi sarei aspettato a questo punto della vita di essere punto e a capo”. Immagino che non sia un inizio casuale per l’album.

Il freestyle che abbiamo pubblicato su Instagram poche settimane fa, avrebbe dovuto essere la nostra intro. Ovviamente il testo era un po’ diverso, una roba in stile anni ’90, con porcate, scurrilità e cose varie. Poi l’estate scorsa, dopo l’uscita di Disco Paradise e il brano con i Coma Cose, ho letto su un gruppo Facebook degli Articolo 31, che è la mia comunità di riferimento, che saremmo dovuti essere più introspettivi alla nostra età.

Cosa hai pensato in quel momento?

Mi è salita la carogna, mi sembra che la società voglia dirmi come mi devo comportare, perché ho 50 anni. In America questo lo chiamano ageism. Ho pensato di riscrivere l’intro e cambiare tutto. Venivo da giorni di casini importanti, Jad pure, siamo in un’eta in cui stiamo affrontando le prove vere della vita e anche se nella canzone scrivo ‘davanti al divorzio che ci porta via l’amore, davanti al tumore che ci porta via gli amici”, non siamo quel tipo di artisti, troppo introspettivi, appunto, forse per un limite.

Un aspetto da tenere fuori dalla vostra musica?

Non riuscirei a scrivere sui social: “Oggi mi sento paranoico”. So che chi lo fa, magari aumenta la sensibilità verso la salute mentale. Volevo scrivere una canzone in cui dico che dobbiamo divertirci perché il tempo va veloce. E se non lo capiscono, fanc*** pure i fan, la società che dice come dovremmo comportarci. Quando eravamo giovani, quando abbiamo iniziato, era “fan**** i vecchi”, ma adesso che siamo diventati vecchi, fan**** a noi.

Nell’album c’è anche una riflessione sul burnout degli artisti e utilizzi la parola “trucco”. Credi che possa essere uno strumento per rispondere all’hating derivato dalla ricchezza?

Non credo che tutti facciano finta, più o meno il pubblico odia tutti quelli famosi. La grande differenza di quest’epoca che stiamo vivendo è che chiunque, forse tranne certi sportivi, hanno più hater che fan. Siamo in un momento in cui la gente ha fame e sta male: odia chi in qualche modo ha i soldi ed è anche un sentimento naturale. Non dico condivisibile, ma comprensibile.

E dov’è il trucco?

Fargli vedere che anche tu, nonostante sia ricco, soffri. È assodato che il trucco per farti odiare di meno è piangere, far capire e dimostrare che anche tu soffri. In una canzone dico: “Preferisco fare rabbia che pietà”.

A te la ricchezza ha mai portato una sorta di senso di colpa?

No, non mi sento in colpa, forse per una mia pigrizia, quando è stato il momento di fare l’imprenditore sul serio, ho capito che era troppo sbattimento, c’erano troppe rotture di cogl****, troppa noia a partecipare a riunioni di bilancio, così ho rinunciato a tanti soldi per seguire la mia felicità, il mio lavoro, che adesso tratto più o meno con la stessa passione con cui tratto il retrogaming. Sono abbastanza ricco da non dovermi preoccupare del domani, soprattutto per la mia famiglia. Non ho la necessità di avere auto di lusso, vestiti, orologi, quello che piace a me, la tecnologia, costa molto molto meno. Mi viene in mente un pezzo di Rino Gaetano che dice: “…Che viva la vita senza troppo arricchirsi”. Ci ha messo il “troppo”, non ha detto senza arricchirsi. Bisogna trovare un equilibrio, e questo vale per i soldi, per le droghe etc, altrimenti diventano uno sbattimento.

C’è qualcosa che ricordi dell’avventura con Fedez?

Uno dei problemi è che più dipendenti avevamo più lui era felice, mentre io non riuscivo a dormire, perché ero cosciente di quanto sia volubile il nostro mestiere. Io ho paura di dare delle false speranze, di addossarmi la responsabilità di altre famiglie e questo non mi faceva stare bene. Con me lavorano dei professionisti con contratto a progetto, così da non avere tutti questi pensieri. E un’altra cosa fondamentale: per ogni 1.000€ che ho guadagnato, ne ho pagati 555 minimo di tasse e quindi ho fatto un gran bene anche alla collettività. I sensi di colpa devono averli quelli che hanno evaso le tasse, io ho avuto dei bei controlli della Guardia di finanza che posso flexare.

Nell’intro canti: “Aveva ragione Mia Martini, è breve il passo, da siete due miti a due falliti”. Ti volevo chiedere quando ti hanno dato del fallito e come ti sei comportato.

È successo svariate volte, sia con gli Articolo 31 che da solista ho avuto delle fasi da montagne russe. La prima volta che mi è successo ero disperato, perché non sapevo che si poteva risalire: adesso non mi lascio scoraggiare. È una cosa normale nel nostro mestiere, nella musica, poi si dovrebbe discutere di cosa è diventata la musica.

In che senso?

Facciamo un mestiere in cui, oggi, i grandi nomi non sono in classifica ma riempiono gli stadi. Però se fai un disco, devi comunque portare a casa un risultato, altrimenti è un casino. Adesso ho imparato che per quanto in basso tu possa cadere, prima o poi puoi rialzarti. La mia fortuna adesso è questo studio, dove produco podcast, dischi, faccio quello che mi diverte e nessuno mi può fermare. Se c’è un una risposta di pubblico, io sono super felice, mi emoziono, piango, sono contento perché vuol dire che ho successo ed è quello che chi pubblica dischi cerca di fare. Non ci facciamo abbindolare da chi dice “No, io lo faccio per me”. Io ho due, tre canzoni che ho fatto per me e le tengo nel computer, mica le pubblico!

Perché, secondo te, 30 anni fa potevi sbagliare un disco, come tanti grandi artisti hanno fatto, mentre oggi rischi di scomparire?

All’epoca di Maria Salvador, anche se avevo fatto sempre dischi d’oro e di platino prima di quello, per le radio, per il nazionalpopolare, era passato così tanto tempo dagli ultimi successi pop degli Articolo 31 che ero diventato quasi uno sconosciuto. Una cosa che è successa recentemente anche con i The Kolors, che hanno spaccato tutto l’anno scorso. Loro hanno continuato a fare musica anche nel momento di down, e adesso che per una parte del pubblico viene visto come un gruppo nuovo, si sono beccati un altro spazio di ascolto.

Il singolo con cui hai presentato il disco, Peyote, riprende in modo molto forte il discorso sulle droghe. Com’è cambiata l’accoglienza del pubblico, pensando a Maria Salvador per esempio?

Come dico in Non aprite quella podcast, sono l’Alberto Angela delle droghe, quindi mi lasciano parlare di queste cose. Teniamo conto che poi a oggi la mia opinione è che le droghe sono sempre state fatte dall’uomo. In realtà la canzone parla dell’aver smesso, di esser stato salvato dall’amore rispetto ai rapporti tossici e le dipendenze.

Ritornando al discorso sul successo dei dischi, come ti fa sentire aver firmato il primo disco di diamante nella scena rap italiana con Così com’è, adesso che Sirio di Lazza potrebbe diventare il primo in era FIMI?

È una cosa naturale che chi fa il mio mestiere deve accettare. Io ho sempre detto che non lavoro per fare la storia, ma per fare la cronaca. Poi penso che nel giro di tre generazioni, non importa quanto grande sia stato il tuo lavoro, verrai comunque dimenticato dalla maggior parte delle persone ma non dagli appassionati di musica, come succede a Battisti. Perché dovrebbero ricordare che ho fatto il disco di diamante? Non me ne frega un ca**o, tanto io so di averlo fatto: coloro interessati alla storia del rap italiano lo sapranno. Poi c’è anche un’altra questione, ovvero che a molti dispiace che l’altro disco di diamante l’abbiamo fatto noi, ma non me ne frega veramente un ca**o del passato. Sono sicuro che fra vent’anni qualcun altro farà un disco di diamante e magari qualcuno si dimenticherà di quello di Lazza.

Come ti fa sentire pensare che siano passati 31 anni dai tuoi primi dischi con gli Articolo 31?

Quando abbiamo fatto la reunion, mi sono riascoltato Articolo 31 dopo tantissimi anni e finalmente penso di averli capiti. Perché a un certo punto, dal mio punto di vista, eravamo migliorati nella tecnica e quindi non riuscivo a capacitarmi come per certe persone, quelle cose lì fossero così importanti. Riascoltando in tempi recenti ho capito che avevamo un’urgenza che a volte la tecnica ti toglie. Metti questa frase, magari con una metafora in più che non si capisce e toglie un po’ l’urgenza. Ho capito che in quel momento lì c’era una magia. Però, per quanto riguarda gli anniversari, li conosco perché è la casa discografica che ha il catalogo musicale e te lo ricorda. Gli anniversari per me sono quelli del mio matrimonio, di quando ho smesso con la bamba…

E invece riguardo al titolo Protomaranza? C’è una connessione con la nuova generazione e nel modo in cui viene descritta, soprattutto negli ambienti mainstream?

In realtà è un troll perché non c’entra con nessun pezzo del disco. Maranza è una parola che andava tantissimo all’inizio anni ’90, ma poi già nel ’94 non c’era più. Fu sostituita dagli zarri e adesso è tornata di moda. Io sento mio figlio che è attaccato a Fortnite e parla dei maranza, a quel punto ho pensato di usare questa parola che collegasse il tutto: quando abbiamo deciso di annunciare il disco, un mese prima dell’uscita, volevo un titolo che facesse imbufalire i fan della vecchia scuola, non facendogli capire che dentro poi troveranno anche le cose che gli piacciono. Mi faceva ridere e immaginare gli Articolo 31 in un museo con scritto sotto: Protomaranza.

Qual è il tuo pezzo preferito del disco?

Vaffanculo Papà.

Perché?

Perché è un pezzo per adulti travestito da pezzo per bambini. Spero che quel pezzo triggeri tutti gli idioti, anche perché lì ci vuole una capacità d’analisi, prima di arrivare al bridge finale. Nella canzone fondamentalmente dico che dover limitare l’arte, anche quella dove ci sono i contenuti più beceri, è una scelta del genitore pigro che non vuole o non ha la capacità per spiegare ai propri figli cosa sono il contesto e la licenza poetica. In un gruppo Facebook, pochi giorni fa, ho visto un video della trasmissione L’Aria che Tira, in cui hanno invitato due giovani trapperini e il presentatore chiedeva a “un’esperta” se loro facessero arte, lei legge il testo che faceva tipo “succhiami il ca*** troia” e dice di no. Mi chiedevo perché lì ci fossero quei due e non io, magari leggendogli qualcosa di Bukowski.

E in merito al protocollo proposto dal Sottosegretario Mazzi per limitare i testi violenti nel rap?

Siamo in comunità europea e il parental advisory esiste già. Poi penso al fatto che in America non danno la password dei cloud durante i processi e secondo Mazzi dovrebbero bloccare l’account di Sfera Ebbasta. È una stronz**a per far parlare le persone, per dire alla gente che questi ragazzi ti rapinano la catenina mentre andate a fare la movida. Senza parlare del fatto che loro non danno lavoro, futuro, speranza, ma è sempre colpa della trap, non della società di merda che abbiamo fatto. È colpa della trap se è diseducativa, o il problema è l’Italia, che negli ultimi 50 anni l’istruzione è stata messa da parte? Mica può essere colpa di Baby Gang. È una sorta di deresponsabilizzazione che è sempre avvenuta, come negli anni ’80, quando Madonna usciva con i crocifissi nei video e si parlava di Satana. Adesso, al Tg 1, Madonna è l’eroina del pop.

Può essere legato al momento in cui si è sviluppato in Italia il rap solo come musica di protesta, e non anche egotrip?

Non è una condizione legata al rap, ma alla musica in generale. Nel rock per esempio ci sono state le band impegnate politicamente, ma anche i Kiss. Il rap è una formula e alcune volte sei tu a limitarti per dimostrare di avere una coscienza. Ai tempi non ce l’avevamo, anche perché non c’era mercato, pubblico o radio. Era bello fare il gangster, atteggiarsi a duri senza violenza. Invece adesso che questi si sparano per davvero, come i rapper americani, magari sono più veri di noi.

Che ne pensi di ciò che sta accadendo in Rai? Anche perché tu hai prodotto un programma come Sorci Verdi.

Ho lavorato dal 2014, in un momento già di forte calo per la televisione. Oggi ci sono delle realtà che hanno un pubblico fidelizzato, come Maria De Filippi e Fabio Fazio. Per il resto, chi se ne fotte di cosa succede in televisione! Ma che se la prendano pure la Rai, tanto non la guarda più nessuno. Basta vedere Chiara Francini a cui hanno gridato flop solo dopo una puntata. Ma se non gli si dà la possibilità di crescere, come pensiamo possa diventare un programma importante? Mentre per chi scrive di tv, chi lavora in seconda serata vuole fare il Jimmy Fallon, non sapendo che Jimmy Fallon ha un’audience ridicola anche in America, e per monetizzare ritagliano clip che vanno virali e funzionano online. La tv italiana è molto incompetente, chiusa in sé stessa, non ci sono persone che conoscono Twitch ed è una cosa gravissima. Pensavo che questa morte lenta la si dovesse ai 60/70enni di oggi, ma io vedo mia madre che non guarda più la tv dopo aver fatto l’abbonamento a piattaforme streaming. Credo che non sia un tentativo di influenzare il pensiero dell’italiano medio, ma più una sorta di clientelismo.

La Sad, in una nostra intervista, ha parlato molto bene di te: credi ci siano delle connessioni che uniscono loro e gli Articolo 31 a inizio carriera?

Credo siano più vicini a brani nostri come Domani Smetto o Italiano medio; sono degli outsider. Ma se uno guarda le collaborazioni del disco, c’è qualcosa che accomuna tutti.

Cosa?

Sono tutti outsider del loro genere. Basti pensare ai Pinguini Tattici Nucleari che erano indie, proprio bollati così prima dell’esplosione. Io lì andai ad ascoltare e pensai che fossero gli unici bravi. Sono gente che non senti parlare tanto quando si discute di streaming, ma fanno i live più pieni di tutti. Mentre La Sad sono gli outsider della trap. Sono felice che esistano e hanno veramente un pubblico di ribelli e di gente che va contro lo status quo. In un certo senso, anche noi siamo sempre stati gli outsider della musica italiana, anche se ci siamo dentro. Ci hanno fatto sempre sentire così.

Adesso è molto più difficile formare un’onda come il rap.

Io credo che la vittoria fondamentale del rap è che adesso non c’è più modo di fermarlo. Non esiste più un cartello di addetti ai lavori che può impedire alla gente di scegliersi la musica da sola. Magari lo sarebbe stato anche nei ’90, se non fossero esistiti i direttori artistici, ma anche quelli musicali di radio e televisione. Quando facevi un disco prima, dovevi pensare alla rivista specializzata, alla radio, al giornalista che ne scriveva, ma anche ai centri sociali a cui presentarlo.

Come avresti pensato, all’epoca, di arrivare a 51 anni?

Morto. Quando sei giovane il tempo passa lentamente e quindi ti sembra che a 51 anni sei ormai da buttare. Allora pensavo veramente di morire giovane, però poi quando arrivi invece alla metà, capisci come passa veloce il tempo. Oggi mi sento un 32enne di testa.

Intervista di Francesco Raiola e Vincenzo Nasto

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