Una scatola vuota, ancora da riempire: la riforma della non autosufficienza destinata a dare risposte agli oltre quattro milioni di anziani fragili in Italia, varata dal governo Meloni a marzo 2023 con ben 30 anni di ritardo rispetto all’antesignana Austria, aspetta di essere attuata nei suoi contenuti più corposi. Per di più, molte novità importanti sono state modificate o cancellate dal decreto 29/2024 che ha in buona parte riscritto quella legge-quadro, ponendo evidenti questioni di costituzionalità.
Una riforma ancora al palo
Tradotto: sul nuovo sistema di valutazione multidimensionale unificata istituito dalla riforma (legge 33/2023) per semplificare la burocrazia di accesso a servizi e indennità, così come sull’assistenza domiciliare mirata ai non autosufficienti e sull’accreditamento delle Rsa, siamo quasi all’anno zero.
Eppure sarebbero proprio questi gli snodi cruciali da affrontare. In un quadro dove, solo a guardare la residenzialità, le strutture coprono circa il 2% della popolazione anziana mentre negli altri Paesi Ue non si scende sotto il 4% e alla carenza di servizi si fa tutt’ora fronte con un esercito di un milione di badanti. Intanto, l’Osservatorio Conti pubblici stima che in Italia la quota di over 80 crescerà dall’attuale 8% al 10% nel 2040 e al 14% nel 2070 e in parallelo la spesa sanitaria destinata alle cure per ultraottantenni quasi raddoppierà, dall’1,3% al 2,5% del Pil.
I passi dell’Italia
Serviva una svolta decisiva e l’Italia ci ha provato. Ma se la prima parte della riforma dedicata all’invecchiamento attivo “procede”, il Titolo II della legge pensato per mettere in piedi un’architettura di presa in carico proprio degli anziani già fragili, marca il passo. Come segnala il Patto per la non autosufficienza che il 21 ottobre organizza a Roma un convegno al ministero della Salute con Orazio Schillaci. L’obiettivo è fare il punto e uscire dall’impasse. «E’ normale che una riforma ambiziosa incontri difficoltà importanti – osserva Cristiano Gori, coordinatore del Patto – ma il problema è che arriva con decenni di ritardo, gli anziani sono sempre di più e il settore versa in condizioni molto critiche». Ecco perché la tempistica è decisiva: «C’è il pericolo di iniziare a mettere mano al settore quando l’ampiezza dei bisogni inevasi e il deterioramento dell’offerta di risposte renderanno impossibili interventi migliorativi di sostanza», avvisa ancora Gori.
Burocrazia più pesante
La riforma è nata infatti per superare la frammentazione delle misure pubbliche, dislocate tra servizi sanitari, servizi sociali e trasferimenti monetari nazionali non coordinati tra loro. Tuttavia, il sistema di governance integrata previsto per programmare insieme gli interventi è stato cancellato. Quanto alle procedure, l’obiettivo iniziale era rendere più facile la vita di anziani e famiglie, oggi costretti a peregrinare tra una miriade di sportelli, luoghi e sedi. Il decreto oggi in fase preparazione, invece, paradossalmente disegna procedure più complicate aumentando il numero di passaggi da compiere.