GERUSALEMME – «Semplicemente ridicole». Le ha definite così, Benjamin Netanyahu, le accuse che lo hanno portato ieri per la prima volta interrogato al banco degli imputati nel processo che lo vede accusato di corruzione, frode e violazione della fiducia in tre diversi casi. Dopo infiniti rinvii, il premier si è presentato ai giudici con la sicumera che lo contraddistingue, respingendo tutte le accuse.
L’udienza, per questioni di sicurezza, è stata spostata da Gerusalemme a un’aula sotterranea del tribunale di Tel Aviv. Dentro, i politici che sostengono il premier che accusavano i giudici di caccia alle streghe e la stampa di essere prezzolata e ideologicamente contraria al premier. Fuori, i sostenitori, pochi, e gli oppositori, molti, del primo ministro israeliano.
L’appuntamento era atteso da tempo. Il massacro del sette ottobre, la conseguente guerra a Gaza, quella in Libano e poi la Siria hanno reso difficile, se non impossibile, la convocazione di Netanayahu. Che ha fatto di tutto, con l’aiuto sia dei membri del partito che di quelli del governo, per rinviare di nuovo l’udienza.
Invece lo show è andato in onda. Il premier ha sfoderato tutta la sua retorica: è un servitore dello Stato che ha dato la sua vita per Israele, lavora più di 18 ore ogni giorno, sta guidando il Paese in un momento complicato con sette fronti di guerra aperti, la stampa gli è contro. Su quest’ultimo punto, ha detto che non è sua intenzione imbavagliare i media, ma «vogliamo diversificarli. La cosa più importante è aggiungere più stazioni TV che non siano controllate da un campo, questo è essenziale». Netanyahu ha detto di credere in un «libero mercato per le opinioni» e che mentre «2/3 del pubblico ebraico israeliano si definisce di destra, il 90% dei media è di sinistra». Ha chiesto di trovare un equilibrio tra le esigenze del processo e quelle del Paese. Poi ha lasciato l’aula per occuparsi di una questione di sicurezza nazionale, dopo aver ricevuto un biglietto. L’udienza è stata aggiornata a oggi alle 14.30.
Dovrà tornare, bisogna finire l’interrogatorio dei suoi legali e poi sottoporsi a quello del procuratore. Netanyahu si è dichiarato non colpevole e, a meno di un patteggiamento, per una sentenza di primo grado, appellabile, ci vorrà tempo. Nel frattempo, può rimanere in carica. La legge israeliana non lo obbliga a dimettersi anche se venisse condannato in primo grado, purché faccia appello. Solo la conferma della condanna in appello, l’obbligherebbe a lasciare. Per la corruzione, rischia fino a dieci anni. Per la frode e l’abuso di fiducia, tre.