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Il valore dell’algoritmo

Analizzando tutti questi dati, gli esperti hanno visto che chi invecchiava più rapidamente sotto il profilo biologico, quindi oltre l’età anagrafica, presentava risposte meno efficienti nei test cognitivi e soprattutto all’Rm metteva in luce un restringimento più rapido dell’ippocampo, con evidenti possibili ripercussioni sulla memoria, oltre ad avere un maggior rischio di declino cognitivo negli anni successivi. In questo senso, il confronto con altre popolazioni è stato di grande aiuto. Gli studiosi, come riporta lo studio, hanno infatti testato l’approccio analizzando le scansioni cerebrali di 624 individui di età compresa tra 52 e 89 anni, provenienti da uno studio nordamericano sul rischio di Alzheimer. E hanno visto che quando l’algoritmo ha supposto chi invecchiava più rapidamente al momento dell’adesione allo studio, questi avevano il 60% di probabilità in più di sviluppare demenza negli anni successivi. Inoltre, hanno iniziato ad avere problemi di memoria e di pensiero prima di coloro che invecchiavano più lentamente. Insomma, lo studio rivela pesanti rapporti tra corpo e cervello.

Come se non bastasse, la ricerca indica anche come chi aveva punteggi DunedinPacni peggiori non aveva solamente un maggior rischio di problemi neurodegenerativi, ma anche di patologie cardiovascolari o respiratorie. Le persone con una curva di invecchiamento più rapida avevano il 18% di probabilità in più di ricevere una diagnosi di una malattia cronica entro i successivi anni rispetto alle persone con un tasso di invecchiamento medio.

L’aiuto dell’Ai

L’analisi della scansione Rm, grazie a un algoritmo che pare superare quanto possono offrire i soli semplici parametri biologici e test cognitivi, può quindi diventare uno strumento per definire l’età biologica cerebrale e non solo. Partendo da questo dato, infatti, si potrebbero stimare i rischi di cronicità (non solo neurologici) negli anni a venire proponendo anche percorsi di prevenzione mirati, con stili di vita e altri approcci. Non dobbiamo infatti pensare che il tempo che passa imponga variazioni solo sulla base di quanto scritto nel Dna. Oltre alla genetica, la predisposizione ad invecchiare bene, cioè ad avere un’età biologica inferiore rispetto a quella anagrafica, pare dipendere soprattutto dalle abitudini. Se l’anagrafe non lascia scampo, quindi, si può puntare a “rubare” qualche anno sfruttando la buona qualità dell’organismo e delle strutture che lo formano. Considerando che, a prescindere dagli strumenti di misurazione, stili di vita sani possono aiutare a modificare la curva dell’orologio biologico più o meno accelerato di ognuno.

L’importanza dell’imaging per il futuro

Pur se ci vorrà ancora tempo per far evolvere DinedinPacni, come rileva il primo autore dello studio Ethan Whitman in una nota dell’Università, questa modalità d’approccio potrebbe rivelarsi utile anche per spiegare l’impatto delle carenze di sonno o di quadri intercorrenti di ansia o depressione che potrebbero interferire sul processo di senescenza. D’altro canto, l’impiego della Rm non rappresenta il solo tentativo per definire l’età biologica del soggetto. Pensate che solo qualche tempo fa una ricerca ha messo in luce quanto una semplice lastra al torace potrebbe essere di supporto in questo senso.

Lo studio è stato condotto dagli esperti dell’Università Metropolitana di Osaka ed è apparso su The Lancet Healthy Longevity. Gli studiosi, coordinati da Yasuhito Mitsuyama e Daiju Ueda, hanno messo a punto un sistema di Intelligenza artificiale capace di stimare precisamente l’età reale di un soggetto partendo appunto dalle radiografie di un gran numero di persone. Non solo. La ricerca consente anche di calcolare quello che può essere l’impatto di una malattia cronica sull’età biologica (ovviamente non anagrafica) di un malato. In particolare lo studio di una grande quantità di immagini radiografiche ha infatti fatto rilevare come il sistema di Intelligenza artificiale riesca a percepire e calcolare anche la presenza di diverse condizioni patologiche, dall’ipertensione alla Bpco, la broncopneumopatia cronica ostruttiva. L’obiettivo futuro è arrivare a sviluppare biomarcatori in grado di far prevedere l’aspettativa di vita, stimare la gravità delle malattie croniche e preconizzare i rischi correlati a un eventuale intervento chirurgico.

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