Un’aliquota Irpef ridotta al 10% sugli incrementi retributivi corrisposti ai dipendenti del privato dai rinnovi dei contratti collettivi nazionali di lavoro per sostenere l’adeguamento delle retribuzioni al costo della vita.
Una delle ultime novità della legge di Bilancio, che è in via di definizione, è rappresentata dall’applicazione sugli aumenti contrattuali frutto dei rinnovi, di una cedolare secca del 10% a decorrere dal 1° gennaio 2026 e fino al 31 dicembre 2028, limitata ai soli lavoratori dipendenti del privato, per l’intero periodo di vigenza del contratto.
Le opzioni sul tavolo
L’articolo è tuttora in fase di perfezionamento, i tecnici del governo ne stanno valutando le compatibilità economiche e le modalità applicative; si sta ragionando su aspetti come l’inserimento, o meno, di un tetto di reddito, e se allargare il raggio di applicazione della cedolare secca del 10% anche ai rinnovi precedenti rispetto al 1 gennaio 2026. il modello è rappresentato dai contratti di produttività, negoziati a livello aziendale o territoriale: in quel caso la cedolare secca del 10% è stata poi dimezzata al 5% e sono fissati dei limiti di reddito (80mila euro) e di importo (3mila euro, aumentabili a 4mila per le aziende che prevedono la partecipazione paritetica dei lavoratori all’organizzazione del lavoro)
La proposta di volte caldeggiata nelle scorse leggi di Bilancio – fortemente chiesta dalle parti sociali – è stata finora puntualmente respinta dalla Ragioneria generale dello Stato per problemi di copertura. Questa misura può vedere la luce, perché è stata trovata una copertura dopo che il ministro del Lavoro, Marina Calderone ha raccolto consenso intorno al principio di stimolare la domanda interna, aumentando il salario netto percepito dai lavoratori in virtù di una tassazione agevolata, inferiore rispetto all’ordinaria aliquota Irpef.
Il costo della misura è stimato in 1,8 miliardi di euro
Una bozza di relazione tecnica stima approssimativamente in 1,8 miliardi annui di minor gettito Irpef il costo della misura, che corrispondono però ad un maggior reddito netto per i lavoratori dipendenti beneficiari della cedolare secca che pagheranno meno tasse sugli aumenti contrattuali. Ipotizzando che gran parte di questo importo aggiuntivo venga speso in consumi, e considerando un’aliquota Iva media effettiva intorno al 10% sui consumi delle famiglie, il maggior gettito Iva potrebbe aggirarsi sui 200 milioni annui a regime.