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Ai microfoni di Fanpage.it si è raccontata Laura Rogora, 23enne campionessa italiana di arrampicata reduce dalle Olimpiadi di Parigi 2024: “Dopo Tokyo vissuta a metà per la pandemia, questa è stata una esperienza eccezionale. Ora sogno il Mondiale e una Federazione che renda grande l’Italia a livello internazionale”.

“4 titoli italiani, 2 ori ai campionati europei, terzo posto ai mondiali, 5 medaglie in Coppa del Mondo nelle varie tappe con due d’oro e tre d’argento, più due partecipazioni alle Olimpiadi”. A sentirla riassumere la sua carriera Laura Rogora sembra una veterana del suo sport, l’arrampicata, poi ti accorgi che ha solo 23 anni e ci si rende conto di essere di fronte ad una vera e propria campionessa. “Orgogliosa di rappresentare l’Italia” tiene a precisare nel corso della chiacchierata con Fanpage.it.

Dopotutto, Laura Rogora sin da quando era bambina aveva un chiodo fisso, arrampicarsi. E così ha trasformato la sua passione nella sua attività di tutti i giorni, ottenendo immediatamente conferme delle proprie qualità dai tempi delle competizioni junior. Poi la crescita, l’entrata nelle Fiamme Oro e l’ulteriore ascesa che l’ha portata oggi ad essere tra le migliori in Italia e non solo, “ma manca ancora molto. La Federazione è nata solo alcuni anni fa. Dobbiamo crescere e farlo in fretta”

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Laura, giovanissima ma già con un palmares da fare invidia a molti…
“Sì, ci sono 4 titoli italiani, 2 ori ai campionati europei, terzo posto ai mondiali, 5 medaglie in Coppa del Mondo nelle varie tappe con due d’oro e tre d’argento, più due partecipazioni alle Olimpiadi. Grazie anche alle Fiamme Oro, gruppo sportivo in cui sono entrata quando avevo 17 anni, dopo aver svolto le giovanili in un’altra società. Dal 2019 sono stabilmente con loro, mi danno la possibilità di allenarmi con costanza, permettendomi di concentrarmi al meglio e motivarmi, visto che insieme a me in squadra ci sono gli arrampicatori più forti oggi in Italia”.

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Quando hai capito che arrampicarsi poteva diventare una vera e propria professione?
“Io ho iniziato a farlo da quando avevo 7 anni, partecipando alle gare giovanili dove ho vinto anche 4 titoli. Poi dalle prime gare giovanili internazionali quando avevo circa 13 anni, con un terzo posto mondiale ho capito che la mia passione poteva diventare qualcosa di più. Anche grazie ai miei genitori che sono stati una parte importante della mia crescita: mi hanno sempre portato alle gare, agli allenamenti. Sempre sostenendomi ma mai mettendomi pressione addosso senza mai a obbligarmi a fare nulla che non volessi”.

Ed oggi ti seguono ancora?
“Con papà ho iniziato, è stato lui per la prima volta ad avermi portato sulla roccia. Mamma non è mai stata una grandissima appassionata di sport, poi pian piano è cambiata e anzi adesso è lei che mi segue ovunque io vada a gareggiare. Mio papà è troppo emotivo, quando c’è una gara in cui ci sono io preferisce non guardare”.

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C’è stato un momento particolare che ti ma messo in difficoltà?
“Forse nel 2019, quando ho cominciato la stagione malissimo ed era quella della qualificazione a Tokyo: ero in difficoltà, non riuscivo ad esprimermi e andavo male anche in Coppa del Mondo. Poi, piano piano, mi sono ripresa, sono riuscita a ritrovarmi e ho strappato il pass per la mia prima Olimpiade: forse il momento più difficile è anche quello che è diventato anche quello più bello”.

Il momento di cui vai maggiormente orgogliosa?
“Sicuramente le due qualificazioni consecutive alle Olimpiadi, con la prima a Tokyo nel 2020 e poi quest’ultima di Parigi. Anche perché i posti sono sempre pochi, solo 20 in totale, quindi la qualifica è stata difficilissima e sono riuscita a centrarla fino adesso sempre. Poi in scaletta metterei sicuramente i titoli europei e il podio al mondiale”.

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Le Olimpiadi, il sogno di qualsiasi atleta che per molti restano un sogno: come le hai vissute da giovanissima?
Tokyo è stata una Olimpiade vissuta a metà: era la mia prima volta ma si capiva perfettamente che non c’era il clima giusto e questo significa tantissimo in quelle circostanze. Infatti, il mio principale obiettivo già a Tokyo era pensare alla qualificazione di Parigi per poter vivere una Olimpiade al 100%: anche se la gara non è poi andata come avrei voluto, di certo è stata una esperienza indimenticabile”.

L’Italia a Parigi era rappresentata da un solo maschio e ben tre ragazze, cosa significa che siete più forti?
“Effettivamente sul campo femminile siamo molto forti in generale, anche se ci sono tanti ragazzi forti soprattutto in speed che potevano qualificarsi ma è stata davvero durissima con pochi posti a disposizione. Forse nel builder paghiamo ancora qualcosa in campo internazionale poi a Parigi c’è stato anche il compromesso di aver accorpato lead e builder: spero che in un futuro le due specialità vengano separate perché sono discipline estremamente diverse, è un po’ limitante vederle insieme. Anche per il bene dell’arrampicata, dello spettacolo, degli appassionati”.

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A che punto siamo con l’arrampicata in Italia?
“C’è tanto, tanto da fare, siamo passati da disciplina associata a Federazione solo pochi anni fa e abbiamo ricevuto i fondi federali solo nel 2023, quindi manca tanto da un punto di vista organizzativo: un Centro federale, degli allenatori fissi, una struttura vera e propria. Dobbiamo bruciare le tappe se non vogliamo restare indietro anche perché da un punto di vista sportivo l’Italia si difende. Non siamo al top della Slovenia o del Giappone ma è un orgoglio rappresentare il mio Paese quando si va all’estero”.

Ci puoi spiegare le tre specialità speed, builder e lead?
“Diciamo che la speed è quella di velocità, il più rapido a salire vince. La builder si pratica ad altezze più basse della lead, fino ai 4 metri, con ai piedi dei materassi mentre la lead appunto è a maggior altezze dove si utilizzano corde e moschettoni ma solo per sicurezza, senza poterli usare per la progressione. Servono solamente per la nostra sicurezza, facciamo tutto senza alcun pericolo reale di cadere sia su roccia che in indoor”.

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Quali differenze ci sono tra l’arrampicata in roccia e quella sulla parete in palestra?
“In roccia le difficoltà sono molto maggiori, le vie molto più lunghe, con delle arrampicate anche di 50 metri dove i tempi di scalata superano anche la mezz’ora. C’è sicuramente maggior varietà seguendo il percorso naturale della roccia, rispetto alla palestra dove i percorsi sono studiati da dei tracciatori: in indoor si spinge magari più sulla spettacolarità, con difficoltà crescenti, meno riposi, inserendo anche dei lanci. Comunque l’allenamento, in inverno soprattutto, ma anche nel periodo delle gare si svolge quasi tutto in palestra, sei volte a settimana, anche due volte al giorno”.

Ad oggi sono più i sacrifici e le rinunce o le soddisfazioni?
“Non l’ho mai visto tutto questo come un vero e proprio sacrificio, ma più come una scelta consapevole. Arrampicarmi è stato quello che ho voluto sempre fare. Poi sono una persona molto cocciuta ed esigenze con me stessa, cerco sempre di ottenere il massimo da me. E’ per quello che delle volte, quando le gare non vanno per il meglio il pensiero di mollare c’è ma dura poco, poi mi ritrovo ad allenarmi. Alla fine siamo anche degli atleti privilegiati, andiamo in posti che probabilmente mai avremmo immaginato, altri dal punto naturalistico straordinari: penso che sia un valore aggiunto che dà l’arrampicata rispetto ad altre discipline dove c’è solo agonismo e concorrenza”.

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I tuoi obiettivi futuri sportivi e non?
“Mi voglio concentrare maggiormente sulla lead e il Mondiale, con le Olimpiadi lontane sarà quello il mio focus per la prossima stagione. Poi se devo staccare con la testa so come fare, studiando matematica all’Università, mi piace, mi aiuta a liberarmi dai pensieri delle gare. Non so cosa voglio fare ancora da grande, al momento mi godo l’arrampicata per il futuro non mi precludo assolutamente nulla: mi tengo tutte le vie aperte”.

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