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Notiziario

Secondo l’ultimo rapporto del Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione (Unfpa) il 50% delle donne non è libero di decidere del proprio corpo. Dal 2016 il tasso di mortalità materna non scende più: una delle principali cause di questi decessi resta l’aborto non sicuro. “Nessuno vuole un mondo in cui la metà delle gravidanze non è voluta o in cui le donne muoiono durante il parto per cause prevenibili”.

Ad oggi quasi la metà delle donne non può decidere autonomamente sul proprio corpo né esercitare i propri diritti in materia di salute sessuale e riproduttiva. Lo attesta l’ultimo rapporto del Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione (Unfpa) State of World Population, pubblicato in occasione del trentesimo anniversario della Conferenza internazionale sulla popolazione e lo sviluppo tenutasi al Cairo nel 1994.

Da allora i progressi fatti sono significativi: negli ultimi vent’anni la mortalità materna globale è diminuita del 34%, il numero di donne che ricorrono alla contraccezione moderna è raddoppiato e le gravidanze indesiderate si sono ridotte del 19%. Nonostante i traguardi raggiunti, “milioni di persone vedono ancora poche differenze nella loro vita quotidiana e continuano a lottare per realizzare i propri diritti perché le radici della discriminazione di genere e di altre forme di emarginazione affondano in profondità”, dichiara Natalia Kanem, direttrice esecutiva dell’Unfpa.

Dal 2016 il tasso di mortalità materna non scende più: tra le cause principali l’aborto clandestino

“Nessuno vuole un mondo in cui la metà delle gravidanze non è voluta, in cui le donne vengono maltrattate in casa o muoiono durante il parto per cause prevenibili”, si legge nel report. Eppure dal 2016 il tasso di mortalità materna non è diminuito e in molti Paesi (soprattutto nell’Africa subsahariana, ma non solo) è addirittura in aumento. Una delle principali cause di questi decessi resta l’aborto non sicuro, praticato clandestinamente e senza i requisiti medici necessari. Al contrario, “un numero crescente di prove – si legge nel report – dimostra che l’accesso legale all’aborto sicuro riduce effettivamente la mortalità materna”. Tuttavia, oggi circa “un quarto di tutte le donne in età riproduttiva vive in luoghi in cui l’aborto è completamente proibito o consentito solo per salvare la vita della donna o in condizioni specifiche”.

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In particolare i dati mostrano che in quasi 70 Paesi una donna su quattro non è in grado di scegliere per la propria salute e di rinunciare a rapporti sessuali con il marito o il partner. Questi numeri risultano più alti per quei soggetti che vivono in condizioni socioeconomiche difficili. Le donne con uno status economico più basso, infatti, non solo hanno riscontrato maggiori difficoltà nell’accedere all’assistenza sanitaria, ma anche minori cambiamenti nel tempo.

Il 50% delle donne non è libero di decidere del proprio corpo

Secondo l’Unfpa circa il 50% delle donne nel mondo non è libero di decidere del proprio corpo. Un dato allarmante se si considera l’importante “relazione esistente tra la ricezione di un’assistenza sanitaria sessuale e riproduttiva dignitosa e di qualità e l’esperienza di empowerment economico, sociale e personale”.

Come si legge nel report, “l’autonomia riproduttiva – la capacità di scegliere se, quando e con chi avere rapporti sessuali o rimanere incinta, la capacità di vivere senza violenza e infezioni sessualmente trasmissibili prevenibili, ecc. – consente alle persone di proseguire gli studi, di ritardare o avviare una famiglia, di fare carriera e di contribuire alla comunità”. Opportunità che a loro volta renderanno chi ne beneficia “maggiormente in grado di accedere ai servizi di salute riproduttiva”. In altre parole, quel che si innesca è un circolo virtuoso i cui benefici sono evidenti.

Più investimenti eviterebbero milioni di morti materne e neonatali

I programmi che promuovono la salute e i diritti sessuali e riproduttivi – come l’accesso all’aborto sicuro, a servizi contraccettivi, a un’educazione sessuale completa, all’assistenza materna – possono produrre benefici sia in termini economici si di “empowerment culturale delle donne”. Le stime dell’Unfpa hanno rilevato che “un aumento della spesa di 79 miliardi di dollari per aumentare la copertura degli interventi essenziali di pianificazione familiare e salute materna entro il 2030 produrrebbe 660 miliardi di dollari di benefici economici tra il 2022 e il 2050″. Non solo, tale investimento consentirebbe di “evitare 400 milioni di gravidanze non pianificate, un milione di morti materne, 6 milioni di nati morti e 4 milioni di morti neonatali, con benefici economici complessivi sotto forma di anni di vita guadagnati, partecipazione alla forza lavoro, partecipazione al mercato del lavoro e altro ancora”, spiega il report.

Per queste ragioni, “è innegabile che il ritmo dei progressi deve essere accelerato. Ovunque, le persone che cercano cure essenziali per la salute sessuale e riproduttiva sono costrette a superare ostacoli che si sovrappongono a causa del loro genere, della condizione economica, dell’etnia, dell’orientamento sessuale, della disabilità e altro ancora. La strada da percorrere per mantenere la promessa della Conferenza internazionale del Cairo sulla popolazione e lo sviluppo di una salute e di diritti sessuali e riproduttivi universali è chiara: per raggiungerla dobbiamo eliminare le disuguaglianze dai nostri sistemi e dalle nostre politiche sanitarie e concentrarci in via prioritaria su quelle donne e quei giovani che sono più emarginati ed esclusi”, conclude il report.

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