«La questione va oltre Loro Piana: è un tema che riguarda l’intera industria italiana (…). Quello che è successo non avrà ripercussioni – ed è giusto che sia così – sull’immagine di Loro Piana». Cecile Cabanis, cfo del gruppo francese Lvmh, il più grande al mondo nell’alta gamma, ha impiegato meno di due minuti a rispondere a una domanda sulle conseguenze dell’indagine della procura di Milano che ha portato all’amministrazione giudiziaria, per un anno, di Loro Piana, una delle circa 80 maison di Lvmh, azienda che il gruppo comprò esattamente dodici anni fa, nel luglio del 2013. Le parole che abbiamo riportato sono il passaggio più ambiguo di quelle usate da Cabanis durante la conference call con gli analisti a margine dei dati semestrali di Lvmh che, giovedì scorso, hanno confermato il rallentamento di ricavi (-4%) e utili (-22%). In un altro momento della sessione Q&A, rispondendo a chi chiedeva un confronto con i numeri di Brunello Cucinelli, che continua a crescere in controtendenza al settore del lusso, la cfo aveva sottolineato: «Il marchio che cresce di più nel panorama del quiet luxury globale appartiene a Lvmh», riferendosi a Loro Piana. Le parole di Cecile Cabanis non sono cadute nel vuoto, ma Confindustria Moda-Federazione Tessile Moda si è presa il giusto tempo per rispondere, per opporre all’opinabile e frettolosa chiave di lettura offerta da Lvmh alcuni dati di fatto e, ancora più importanti, azioni concrete che chiamino in causa tutti, italiani e francesi. Come spiega Luca Sburlati, presidente di Confindustria Moda, «a nome dell’intera filiera italiana della moda».
La cfo di Lvmh ha detto che l’azienda al centro dell’inchiesta era «un subfornitore di un subfornitore di un fornitore di Loro Piana», rifiutando, di fatto, ogni responsabilità. Come risponde?
Uno dei tre punti sui quali desideriamo avviare un confronto con l’intera filiera, che in Italia vede una presenza di importanti aziende controllate dai francesi, e con le istituzioni è proprio questo: i target di costo assegnati alle imprese subfornitrici devono essere compatibili con la qualità richiesta e devono garantire la sostenibilità economica e il rispetto dei costi orari regolari lungo l’intera catena di fornitura, perché sostenibilità economica significa anche sostenibilità sociale. È prioritario che le aziende “capofiliera”, come sono quelle di Lvmh, lavorino solo con imprese che applicano il contratto nazionale appena rinnovato e che evitino quelle che scelgono invece i cosiddetti contratti pirata. Ricordiamolo chiaramente: in Italia il settore moda impegna oltre 500mila persone e circa 50mila imprese, una rete altamente specializzata, che lavora con rigore, competenza e grande senso di responsabilità, fornendo filati, tessuti, progettazione, innovazione e prodotti unici ai principali brand internazionali.
Le altre due priorità quali sono?
La seconda è a sua volta legata al tema della distribuzione dei costi, che non può essere l’unico obiettivo del management operativo delle aziende committenti. A maggior ragione quando si tratta di alta gamma: la qualità richiede investimenti, know how e tempo. Una filiera orientata solo al prezzo compromette anche la qualità di prodotto percepita dai clienti nel lungo periodo e incrina il rapporto di fiducia tra consumatori e marchi, con danni incalcolabili, in particolare nella nostra era digitale, in cui le informazioni, vere o false che siano, si trasmettono a velocità incontrollabile.