Un team di ricerca dell’Università di Boston ha fatto una scoperta inquietante: in pochi giorni le microplastiche riescono a rendere i batteri resistenti a quattro comuni antibiotici usati per combattere le infezioni. A causa dell’inquinamento da plastica, ciò potrebbe portare a “superbatteri” sempre più difficili da eliminare. Si stima che entro il 2050 i patogeni resistenti uccideranno oltre 10 milioni di persone, più del cancro.
Potrebbe sembrare assurdo, ma i batteri che vivono a contatto con le microplastiche sviluppano una potente resistenza ai farmaci, anche senza essere stati esposti agli antibiotici. È quanto emerso da un preoccupante studio, che ha testato varie tipologie di materiali plastici con colonie di Escherichia coli, un batterio “buono” che vive nel nostro apparato digerente ma che in determinate occasioni può trasformarsi in un patogeno opportunista. È infatti in grado di scatenare anche gravi infezioni quando riesce a colonizzare il sangue o le vie urinarie. Alcuni ceppi di Escherichia coli stanno sviluppando una significativa resistenza agli antibiotici, tanto da poter essere inseriti nella famigerata classe dei cosiddetti superbatteri.
Il fatto che le microplastiche riescano a indurre antibiotico-resistenza nel batterio Escherichia coli senza esposizione agli antibiotici è una notizia a suo modo sconvolgente, per diverse ragioni. Innanzitutto per la pervasività delle microplastiche. Questi inquinanti sono stati trovati ovunque, non solo nell’ambiente – dalle vette più alte agli abissi più profondi, ritenuti “incontaminati” – ma anche nel corpo umano dove creano seri danni. I minuscoli frammenti plastici con dimensioni inferiori ai 5 millimetri sono stati rilevati praticamente in ogni organo e tessuto, compresi cervello, sangue e apparato genitale. Si stima che ogni anno ingeriamo e inaliamo mezzo chilogrammo di plastica. Il fatto che questo materiale possa esacerbare la resistenza agli antibiotici potrebbe rendere l’emergenza sanitaria globale dei “superbatteri” un problema molto più grande di quanto già non lo è. Ogni anno, infatti, muoiono per infezioni resistenti circa 5 milioni di persone e si stima che entro il 2050 potrebbero uccidere più del cancro (oltre 10 milioni). Solo in Italia si registrano 10.000 vittime, delle 35.000 totali in Europa. Ciò significa che viviamo in uno dei Paesi con i tassi più allarmanti. E a rendere questi dati ancor più agghiaccianti vi è il fatto che molto spesso queste infezioni resistenti si contraggono in ospedale.
A determinare che i batteri a contatto con le microplastiche sviluppano resistenza ai farmaci è stato un team di ricerca statunitense guidato da scienziati del Dipartimento di Scienza e Ingegneria dei Materiali dell’Università di Boston, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Dipartimento di Ingegneria Biomedica e del Center on Forced Displacement. I ricercatori, coordinati dal dottoressa Neila Gross e dal professor Muhammad Zaman, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver esposto per dieci giorni colonie di Escherichia coli a varie tipologie di microplastiche (polistirene, polietilene e polipropilene) di diverse dimensioni, da 0,5 millimetri a 10 micrometri. Ogni due giorni hanno testato le concentrazioni di quattro comuni antibiotici necessarie per uccidere i batteri. I farmaci testati erano ampicillina, ciprofloxacina, doxiciclina e streptomicina. Ebbene, giorno dopo giorno, i batteri “coltivati” sulle microplastiche sono riusciti a sviluppare una preoccupante resistenza multifarmaco senza essere esposti agli antibiotici, ma solo a causa del contatto con i detriti plastici. “Ciò significa che le microplastiche aumentano sostanzialmente il rischio che gli antibiotici diventino inefficaci per una varietà di infezioni ad alto impatto”, ha spiegato la dottoressa Gross in un comunicato stampa.
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Ciò che preoccupa gli esperti risiede nel fatto che questa resistenza agli antibiotici era spesso “significativa, misurabile e stabile, anche dopo che antibiotici e microplastiche erano stati rimossi dai batteri”. I ricercatori hanno osservato che l’antibiotico-resistenza è innescata principalmente dalla formazione di un biofilm molto più spesso e resistente sulle microplastiche rispetto a quello di altre superfici; è così forte che di fatto impedisce ai farmaci di accedere alle cellule batteriche e dunque di ucciderle. “È stato sbalorditivo da vedere”, ha sottolineato l’autrice principale dello studio. L’inquinamento da plastica “sta facendo molto di più che fornire una superficie su cui i batteri possono attaccarsi: sta effettivamente portando allo sviluppo di organismi resistenti”, le ha fatto eco il professor Zaman. Le microplastiche agirebbero anche assorbendo gli antibiotici prima che riescano ad attaccare i batteri. Nei prossimi passi della ricerca gli scienziati proveranno a rilevare questa resistenza agli antimcrobici indotta dalla plastica anche al di fuori dell’ambiente di laboratorio. I dettagli dello studio “Effects of microplastic concentration, composition, and size on Escherichia coli biofilm-associated antimicrobial resistance” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Applied ad Environmental Microbiology.