CAPRAROLA (VT) – Su una delle volte affrescate del magnifico Palazzo Farnese di Caprarola, borgo di 5mila abitanti in provincia di Viterbo, si racconta come l’umanità abbia imparato a produrre tessuti e abiti. Il ciclo si trova nella Stanza dei Lanifici, dove il cardinale Alessandro Farnese, artefice dell’edificio del XVI secolo, collocò tutto ciò che occorreva alla produzione tessile della sua dimora. Realizzare abiti, all’epoca, era un gesto comunitario. «Fare cappotti» per le signore del posto è ancora oggi sinonimo di chiacchierare, come quando ci si riuniva in casa per cucire i vestiti per i tanti fasonisti della Tuscia. Queste riunioni si sono tenute per decenni, finché delocalizzazione ed evoluzione dell’economia del territorio le hanno spente. Almeno finché qualcuno, a Caprarola, ha voluto ridare vita a questo creare comunitario.
Era il 2009 quando Benedetta Bruzziches – un diploma allo Ied di Roma, un’esperienza nell’ufficio stile di Romeo Gigli, un viaggio rivelatore nelle manifatture di borse dell’India – insieme al fratello Agostino decise di correre il rischio di riportare in vita la filiera delle confezioni locali. «Nel 2017, poi, a una fiera ho trovato un materiale meraviglioso, una maglia di cristalli, e ho capito che sarebbe funzionato benissimo per le borse che avevo in mente. Ma serviva chi sapesse confezionarle, a mano. Per questo, poco alla volta, parlando con le persone della zona ricche di esperienza e competenze ma rimaste senza lavoro, ho pensato di farle fare a loro»: Benedetta Bruzziches parla nella sua Bottega Bruzziches, la nuova manifattura inaugurata nella zona industriale di Caprarola, cuore della sua filiera speciale composta oggi da decine di sarte della zona che ricevono i kit per cucire le borse.
Nella Bottega poi tornano per i controlli di qualità e i tocchi finali, e ne escono – oltre 10mila l’anno – per raggiungere i department store più celebri del pianeta, da Harrods a Neiman Marcus, dalle Galeries Lafayette a Selfridges, ma anche le boutique più sofisticate, da Antonia a Milano fino a Joyce a Hong Kong.
Di fronte all’ingresso della Bottega si estendono ettari di noccioleti, alberi che hanno segnato l’evoluzione e per molti anni determinato la ricchezza degli agricoltori della zona. Ma ora il sistema è in profonda crisi, a causa del cambiamento climatico che sta facendo drasticamente diminuire la produzione. Molti giovani se ne vanno, e nei borghi di tufo si attende che il governo inserisca la Tuscia nelle Zes, le Zone Economiche Speciali, con i provvedimenti di sostegno che ne deriverebbero.
«Ricevo molte richieste per lavorare con noi, soprattutto perché quello che facciamo, un prodotto delle mani, che nasce dal contatto e dal passaggio fra pensiero e mani, è molto soddisfacente. Ridare spazio all’artigianato vero, fatto di storia, cultura, identità di un territorio, è cruciale anche per il sistema moda in questo momento. Le persone cercano autenticità, dignità, oggetti fatti con testa e cuore». Per questo Benedetta ha deciso di chiamare le sue borse più preziose “object d’hearts”: i modelli che l’hanno resa celebre, indossati da star sul red carpet del Met Gala (per esempio Anne Hathaway e Sarah Jessica Parker) come alla notte degli Oscar (da Francesca Scorsese, figlia del regista Martin), sono fatti di una maglia di cristalli lavorata a mano, come cucita a mano è la fodera in seta, acquistata dalla Tessitura Attilio Imperiali di Como; un laboratorio orafo di Arezzo si occupa dei dettagli più preziosi, le clutch in metallo sono anch’esse ricavate da blocchi unici e fatte con stampi speciali; le borse in metacrilato, scolpite in forme metafisiche, sono prodotte da un’azienda di Pomezia e tinte con un procedimento appreso da Benedetta in una storica fabbrica di bottoni della zona, che prima di chiudere ha lasciato la sua eredità a questa giovane azienda, in veloce sviluppo.















