Il lavoro e la responsabilità. E la grazia, che non vuole essere intesa in senso catechistico e neppure capitalistico come “valorizzazione del sé”, ma come l’opportunità di dire e di “fare qualcosa”. E portare qualcosa di sé. È un viaggio tra i perché, quello indicato nel libro “La grazia del Lavoro” Crescere, prendersi cura e ritrovarsi nella propria professione, (Edizioni San Paolo) di Massimiliano Pappalardo, filosofo del lavoro e saggista ed esperto di temi come la consapevolezza e la responsabilità.
«Che senso ha il mio lavoro?, Posso lasciare un segno? Quanta parte di me c’è in questa fatica?» sono i quesiti che accompagnano il lettore in questo percorso che dal passato guarda al futuro in un mondo in continua trasformazione e spinto da una velocità sempre crescente. Pagine per alimentare un dialogo aperto con chi lavora e con chi si sta approcciando al primo impiego, con tanti sogni e un (ancora) piccolo bagaglio di esperienze. «Il lavoro non è solamente un mezzo per ottenere un salario o per soddisfare bisogni materiali – dice Massimiliano Pappalardo -, ma anche un’opportunità irripetibile per esprimere la propria creatività, per contribuire al bene comune e realizzare la propria vocazione personale».
Lavoro inteso come una sorta di grazia, giacché molto spesso trovare un’occupazione è un fatto importante e positivo, ma anche grazia «intesa anzitutto come l’adesione a una professione specifica, che permetta poi di conoscere il nostro volto che si riflette in tutto ciò che facciamo, nella grande opportunità di poter lasciare un segno potente nel contesto in cui siamo chiamati a operare». Il lavoro anche per ovviare al «pericolo del disingaggio che può essere alimentato dal Reddito di cittadinanza» con cui si corre il rischio di alimentare una tendenza che porta a dire «non lavoriamo più perché diventa superfluo». «Se tolgo lavoro – aggiunge Pappalardo -tolgo l’opportunità alle persone di creare e far crescere se stesse. Anche perché attraversando la fatica ognuno di noi esprime se stesso». Il lavoro anche come ascensore sociale in cui le persone sono parte attiva e protagoniste. «È l’essere umano che può dare dignità a quello che fa». In questo contesto c’è poi un elemento positivo che riguarda «l’amare ciò che si fa. È quello che dà valore e importanza».
Tra i ragionamenti sul mondo che cambia e sul lavoro che è anche riscatto e motivo di crescita «non solo economica ma sociale e personale» c’è anche una ricerca dell’armonia in un sistema in cui diventa dirompente la necessità di essere superperformanti e pronti a dare super prestazioni. «Un termine che viene usato troppo spesso è quello di sfida e sfidante che presuppone un duello e una contrapposizione – argomenta ancora Pappalardo – penso ci sia bisogno di duetto e non duello. Perché il rischio è quello di innescare una performance infinita che alla fine diventa distruttiva».
Eppoi la competenza e le aspettative di chiunque cerchi un lavoro o occupi una posizione. «Se c’è competenza e serietà – dice ancora – c’è sempre qualcuno che la riconosce. Dico sempre quando si è un posto diamo l’anima, diventiamo i più bravi, poi si vedrà.Ricordando sempre che non deve mai mancare il desiderio di formarsi e di studiare».