Storie Web venerdì, Ottobre 24
Notiziario

Continuano le tensioni sindacali al teatro La Fenice di Venezia. Dopo le proteste per la nomina di Beatrice Venezi a direttrice musicale, i dipendenti del teatro hanno chiesto ufficialmente anche la revoca del sovrintendente, Nicola Colabianchi. “Il risultato della manifestazione del 17 ottobre con oltre duemila persone – scrivono i sindacati dell’ente lirico – ha dimostrato che la Fenice non accetta di essere guidata senza rispetto, senza ascolto e senza visione. La mobilitazione – concludono – non si fermerà fino a quando non verrà ristabilito un clima di rispetto, trasparenza e partecipazione all’altezza della Fenice”.

Colabianchi non ha commentato la nuova protesta di orchestrali e coro. Il sindaco, nonché presidente della fondazione della Fenice, Luigi Brugnaro, ha definito la situazione “irrispettosa verso il pubblico e violenta contro Venezi”. Venerdì scorso c’era stato lo sciopero dei dipendenti della Fenice; domenica la lettura dell’ennesimo messaggio dal palcoscenico, poi nulla fino ad oggi con la richiesta delle dimissioni del sovrintendente.

Nelle stesse ore dello sciopero, il sottosegretario del Ministero della Cultura Gianmarco Mazzi aveva diffuso un comunicato per criticare lo sciopero dei lavoratori e con il quale ricordava a tutti che: “La Fenice è finanziata ogni anno con 22 milioni. Come si dice, soldi che gli italiani pagano perché si lavori e si produca musica”. Al di là dell’indelicatezza dell’espressione, le parole del sottosegretario sono rivelatrici di cosa potrebbe cambiare se, a breve, entrasse in vigore il nuovo Codice unico dello Spettacolo.

Il Codice unico dello Spettacolo è un testo di legge che vuole riordinare l’intera disciplina del settore dello spettacolo, unificando e aggiornando le normative esistenti. In altri termini,  dovrebbe stabilire i confini della natura di funzione pubblica che giustifica l’uso del denaro dei contribuenti per sostenere lo spettacolo dal vivo. La delega al governo per la sua redazione originariamente prevista da una legge del luglio 2022, con scadenza per il 2025, è stata prorogata fino a fine 2026.

La legge era stata votata dal precedente parlamento, poi tre mesi dopo ci fu un cambio di maggioranza con le elezioni vinte dal centrodestra. La nuova maggioranza ha segnato un deciso cambiamento di politica culturale, con l’obiettivo dichiarato di raggiungere una nuova e diversa “egemonia culturale”.

Il Codice non è ancora pronto, ma ne circola una bozza da diverse settimane. È evidente il cambio di paradigma: fin dall’inizio, nell’articolo 1, viene esplicitato il valore dello spettacolo come elemento identitario: si parla di “identità nazionale” e di “cultura musicale nazionale”.

Il controllo dello Stato e il suo peso nella governance nei Teatri come la Fenice, ma lo stesso vale per La Scala, Il Regio e tutti gli altri, vengono stabiliti per legge: se ne fa carico l’articolo 47, dove si stabilisce che i Gran Teatri d’Opera (il nuovo nome attribuito alle attuali Fondazioni lirico-sinfoniche) devono coordinare la loro attività per “la valorizzazione delle grandi opere della tradizione italiana” con pochissimo peso dato alla sperimentazione e al rischio culturale. Torna il binomio identità e tradizione che permea tutta la nuova legge. 

Torna anche il principio di declassamento di un teatro, (come è stato il caso recente della Pergola a Firenze che potrebbe perdere il livello di ‘interesse nazionale’ per motivi non chiari, se non riconducibili alle posizioni del direttore artistico Stefano Massini o ad un contrasto tra Comune e Governo), con conseguente taglio di fondi, il tutto a discrezione dell’esecutivo.

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