Non c’è convegno con l’AI nel titolo dove, a un certo punto, non ci sia qualcuno di una Big Tech che se ne esca esaltando il tempo «liberato» dall’AI da compiti ripetitivi. Ma siamo davvero sicuri che sarà bello poterci occupare degli aspetti creativi e strategici del nostro lavoro e lasciare all’AI la parte noiosa?
In teoria, certamente sì. In pratica dipende dalle aspettative, da quello che verrà chiesto e da come ci verrà chiesto. Mettetevi nei panni dei nuovi creativi evoluti dall’AI: più tempo per inventare, studiare e progettare servizi, prodotti e procedure comporta una diversa organizzazione del lavoro. Non è solo una questione, peraltro non semplice, di decidere come redistribuire i compiti sulla base della supposta maggiore efficienza generata dall’intelligenza artificiale generativa e dagli AI Agent.
Volendo essere coerenti con i dettami di un approccio AI First, che vede appunto l’AI al centro dei servizi dell’azienda, significa ingegnerizzare un processo di creazione che vede umani e macchine lavorare in team multidisciplinari, ridisegnare processi e divisioni, in pratica ripensare gli ultimi vent’anni di economia aziendale.
Per chi è ancora all’università non cambierà molto: sarà comunque un mondo nuovo. Per chi è già dentro, invece, vuol dire cambiare modo di lavorare. I più pessimisti immaginano questo «cambio di paradigma» (l’ennesimo, ndr) con una fase più o meno estesa di controllo di qualità, dove i «detentori di conoscenza di dominio» – i professionisti o manager senior – addestrano la «macchina» a lavorare al loro posto e controllano gli errori. Per usare un mantra che va di moda nell’AI, possiamo definire questa fase Human in the loop: un umano all’inizio e alla fine del processo. Si occupa di inserire i dati e controlla alla fine come la macchina si comporta.
Un manager ha così definito questa fase: «Quando l’IT avrà trovato una quadra su quale agente utilizzare, una volta cioè che sarà chiusa la fase di proof of concept, sarà come insegnare il mestiere a una nuova generazione di stagisti destinati, nel peggiore dei casi, a prendere il tuo posto, nel migliore a renderti il loro guardiano».