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Notiziario

Nell’ultimo decennio è cresciuto il livello medio di istruzione dei lavoratori, ma la domanda di lavoro non sempre si è adeguata ad un’offerta con qualifiche più elevate. In Italia un numero significativo di lavoratori si è così trovato a svolgere mansioni non in linea con il proprio livello di istruzione, di competenze o di ambito di studi che non corrispondono alle posizioni attualmente ricoperte. Con conseguenze in termini di perdita salariale, considerando che ogni anno di studio oltre il livello richiesto dalla posizione lavorativa viene retribuito solo al 67% del suo valore reale.

Gli anni di istruzione media

La sovraqualificazione, più diffusa tra i giovani e le donne, rappresenta l’altra faccia del mismatch, il mancato incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro che rappresenta una delle principali sfide per il nostro sistema produttivo. Ad accendere un faro su questo aspetto è il rapporto “Il mismatch di qualifiche nel mercato del lavoro italiano”, realizzato da Area Studi Legacoop in collaborazione con Prometeia, che analizza il disallineamento tra titoli di studio e richieste del sistema produttivo, mettendo in luce le distorsioni che ne derivano in termini salariali. Alla base del rapporto ci sono i dati contenuti nell’ultima edizione della Survey of Adult Skills (PIAAC) condotta dall’OCSE, secondo cui nel 2022 un lavoratore italiano ha in media 12,6 anni di istruzione, contro gli 11,3 del 2011. Questo miglioramento di oltre un anno ha interessato in particolare la fascia di lavoratori d’età 35-44 anni, che ha allineato il proprio livello di istruzione con quello dei più giovani.

L’aumento del grado di istruzione non compensato dalla domanda

Ma l’aumento del livello di istruzione dei lavoratori non è stato accompagnato da una crescita equivalente negli anni di istruzione richiesti dalle imprese, perché la domanda di lavoro non si è adeguata ad un’offerta con qualifiche più elevate. Si è assistito così ad un incremento dei lavoratori sovraqualificati, passati dal 7,8% nel 2011 al 12,7% nel 2022, mentre quelli non adeguatamente qualificati sono scesi dall’11,3% all’8,1 per cento. Per ciascun lavoratore è stata calcolata la differenza tra gli anni di istruzione richiesti per l’occupazione svolta e quelli effettivamente conseguiti: si è passati da una situazione in cui in Italia il livello di istruzione era mediamente adeguato alle mansioni svolte (2011), a una fase di eccesso di istruzione pari in media a 0,8 anni (2022). Soprattutto i più giovani svolgono ruoli che non rispecchiano il loro percorso formativo.

A trainare la domanda di lavoro nell’ultimo decennio sono stati i settori caratterizzati da un tasso di posti vacanti maggiore rispetto agli altri, con un eccesso di istruzione dei lavoratori: agricoltura, attività minerarie, manifattura, commercio, trasporto e magazzinaggio, servizi di alloggio e ristorazione, solo per citare i principali. Nel primo trimestre del 2023 il tasso di posti vacanti nei settori caratterizzati da surplus di istruzione era del 2,3%, mentre negli altri settori e nelle costruzioni era pari rispettivamente all’1,9 e all’1,7%.

L’impatto negativo sui salari

Il mismatch ha impatti diretti sui salari. Nel settore industriale in senso stretto (manifattura, estrazione mineraria, fornitura di energia, fornitura di acqua) ogni anno di studio oltre il livello richiesto dal ruolo viene pagato in media il 67% di quanto vale un anno di istruzione addizionale perfettamente allineato. L’istruzione extra è remunerata, ma il rendimento marginale è più basso rispetto a quello dell’istruzione richiesta dalla posizione ricoperta. Ogni anno di istruzione mancante rispetto al requisito si traduce in una perdita monetaria, con un rendimento marginale che diventa negativo (50%) per il lavoratore.

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