Storie Web venerdì, Febbraio 7
Notiziario

C’è un filo rosso che unisce Donald Trump, Benito Mussolini e la dea Atena.

Donald Trump (LaPresse), la Dea Atena (Getty Images) e Benito Mussolini (Getty Images)

Per quanto assurdo possa sembrare, soprattutto per il terzo elemento del trinomio, un filo rosso avvicina il neo rieletto presidente, Donald Trump, il capo del fascismo italiano, Benito Mussolini e la dea greca Atena. Non è il “make Italy great again” che il Mussolini di M (la serie, non il romanzo di Scurati) scandisce, in camera alla fine del quarto episodio. Ammiccante e trumpista ante litteram. Hanno in comune il modo di parlare.

Trump nell’Inaugural Address ha parlato come fa sempre nei discorsi ufficiali. Il busto rigido, la posizione leggermente obliqua, guarda poco in camera, si volta a destra e poi a sinistra. Assertivo ma rigido, freddo. Non cerca il coinvolgimento emotivo. Si presenta come un uomo deciso che non ha bisogno di avvicinare con l’empatia. Che questo sia un posizionamento lo conferma la foto scelta per il ritratto ufficiale, diffusa qualche giorno prima del suo insediamento come 47esimo presidente degli Stati Uniti d’America. Luci dal basso, per mettere in evidenza gli occhi e disegnare ombre sul viso, espressione severa, sguardo torvo, accigliato. Scelte che trasmettono una ben chiara idea di potere.

Trump comunica in modo efficace e lo fa anche nel suo discorso inaugurale. Parla con grande chiarezza. Pronuncia frasi per lo più brevi, semplici e dirette. Molte sono slogan, come “make America great again”, già usato da Ronald Reagan nella campagna presidenziale del 1980. I concetti chiave sono ripetuti. America will soon be greater, stronger, and far more exceptional than ever before. Il punto è ribadito più volte: I will very simply put America first. Il Presidente ne fa la sua missione: I was saved by God to make America great again. Le parole evocano immagini: we will drill, baby, drill. La politica economica del governo, tradotta, è la possibilità per tutti di comprare l’automobile che vogliono: in other words, you’ll be able to buy the car of your choice.

È cominciata la crociata di Donald Trump, il figlio del secolo

Il discorso si apre e si chiude con lo stesso concetto. The golden age of America begins right now, scandisce il Presidente, ed è un po’ il titolo del suo Inaugural address, subito dopo i saluti rituali alle autorità presenti. Lo riprende in chiusura: The future is ours, and our golden age has just begun. Ma più della struttura d’insieme contano le frasi ad effetto. Il discorso è già pronto per circolare segmentato sui social: We will stand bravely, we will live proudly, we will dream boldly. Questa sequenza sarebbe piaciuta anche a quel maestro di retorica e oratoria che fu Cicerone, almeno dal punto di vista formale: una serie ternaria, tre frasi di quattro parole che si corrispondono perfettamente. Un crescendo, dalla solidità alla spavalderia di chi sa che può sognare in grande e far succedere i propri sogni.

Il messaggio arriva, è più che chiaro, ma le parole sono pronunciate senza grazia, senza calore. La voce è monocorde, metallica, a tratti persino cantilenante. Anche questo aspetto lo avvicina a Benito Mussolini. In M Il figlio del secolo, il romanzo di Antonio Scurati, la voce di Mussolini è una presenza pervasiva. Ma non sono solo i grandi discorsi cui ci hanno abituato le registrazioni dell’Istituto Luce. È più spesso la voce dei pensieri del capo, il linguaggio concitato e sovraccarico dell’uomo nuovo. «Parliamo brevemente, laconici, assertivi, a raffiche» (p. 10).

Anche Trump parla così. Ma le analogie non sono finite. L’espressione è dura, a tratti sdegnosa. The Donald raramente sorride e mantiene una postura rigida. Il contrario di quello che Cicerone e Quintiliano consigliavano agli oratori che volessero convincere: gesti sobri ma morbidi, austeri ma disinvolti, con la naturale eleganza di Cesare e la voce capace di modulare i toni per trasmettere emozioni.

Trump fa esattamente il contrario. E spesso cade anche nell’errore che un altro maestro della retorica antica, Quintiliano, considera il più intollerabile, il nemico numero uno di un oratore che voglia essere credibile, la cantilena. Ma è davvero un errore? Di nuovo: la voce è monocorde e metallica. «Metallica» è l’aggettivo di gran lunga più usato per descrivere la voce di Benito Mussolini. È un aggettivo e una sinestesia, la figura retorica in cui le sensazioni si fondono. «Metallica» descrive un suono e insieme un’esperienza tattile.

Altri aggettivi usati nelle cronache del tempo per la voce di Mussolini sono «acuta», «graffiante», «ottonata», «brillante», «bronzea», «penetrante», «stridente». Le registrazioni dei discorsi di Mussolini, sopravvissute negli archivi della RAI permettono di farsi un’idea di quale fosse l’impatto della voce del dittatore. Durante il Ventennio la voce di Mussolini era ovunque, grazie alle torri radiofoniche costruite in tutta la penisola che le permisero di raggiungere anche le zone rurali e remote del paese.

Si potrebbe pensare che dipenda dalle circostanze. Quando l’oratore parla senza nessun sistema di amplificazione, lo sforzo di per sé conferisce alla sua voce una risonanza metallica. Succede per esempio a D’Annunzio, a Fiume la sera del 7 ottobre 1919, nel chiarore del plenilunio, davanti a tutta la popolazione riversatasi in piazza. Un’altra sequenza memorabile di M, il romanzo, di Scurati (pp. 103-4). Mussolini, prende nota; è un principiante, ma supererà il maestro e di questo modo di usare la voce farà un tratto distintivo. Le descrizioni della voce «metallica» di Mussolini le conferiscono poteri che vanno oltre la contingenza del presente. La voce metallica è voce di un’autorità «napoleonica, forte, dominante», tanto che «lo si immagina facilmente nell’atto di pronunciare un’orazione davanti a una folla di antichi romani». Un giudizio scritto nel 1931 da Giovanni Telesio, direttore del Resto del Carlino di Bologna.

Le voci metalliche possono suonare aspre, sgradevoli o persino dolorose all’ascolto. Il filosofo Mladen Dolar, che ha studiato la comunicazione politica, si è occupato in particolare della voce autoritaria in “La voce del padrone” (2006, pubblicato in Italia da Orthotes nel 2014). La voce autoritaria, secondo Dolar, può fare affermazioni contraddittorie e può mentire senza conseguenze, perché il suo ruolo non è tanto quello di comunicare un significato, quanto di trasmettere fascinazione, di coinvolgere all’interno di un evento che assurge a rito. Una voce che incute soggezione, all’interno di un quadro autoritario, con un potere quasi divino.

E a proposito di divinità, si impone un salto nella Grecia del mito e della tragedia. La voce di Atena nell’Aiace di Sofocle è autorevole e insieme distante. Con distacco la dea nel prologo racconta come l’eroe si sia reso ridicolo, sotto le mura di Troia. Offeso perché l’esercito greco gli ha negato le armi di Achille, in un accesso di follia allucinatoria scatenato proprio da Atena, Aiace ha fatto strage di pecore e buoi, mentre credeva di vendicare il torto subito punendo i capi della spedizione. La dea parla con Odisseo, il suo preferito. È l’alba, davanti alla tenda di Aiace.

Non è chiaro se Atena resti invisibile al pubblico e al suo protetto o se parli dall’alto, dal theologheion, la piattaforma sopraelevata dove per convenzione nel teatro greco apparivano le divinità. Un’altra possibilità è che sia inizialmente lontana e poco visibile, nella luce incerta dell’alba, ma che poi Odisseo le si avvicini per dialogare con la sua dea. Ce l’aspetteremmo calda, complice. Invece per Sofocle il suono della sua voce è simile a quello di una tromba tirrenica dalla bocca di bronzo (Aiace, v. 17). Un tono metallico, freddo, distante. Metallico, cioè potentissimo ma anche distante, suonava il 47esimo presidente degli Stati Uniti, mentre annunciava al suo paese una new Golden Age. È una scelta di stile, questo uso della voce, che comunica un’idea del potere.

L’autrice dell’articolo è Laura Suardi, dottorata in Filologia e letteratura del mondo antico, insegna greco e latino al Liceo classico Parini di Milano, e il 7 febbraio uscirà in libreria col libro “Il discorso perfetto. Parlare in pubblico con i classici” (Editori Laterza )

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