Storie Web sabato, Aprile 27
Notiziario

Il caso Santanchè agita il Governo. La mozione di sfiducia presentata dalle opposizioni contro la ministra del turismo, alla luce dell’indagine della procura di Milano sul caso Visibilia, approderà in aula alla camera da mercoledì prossimo, ma potrebbe slittare ancora, complice un ingorgo di provvedimenti. E nel frattempo nessuno nella maggioranza scommette siano esclusi colpi di scena. “Nessuno mi ha chiesto di dimettermi”, ha assicurato la ministra in mattinata, circondata da una certa freddezza nel centrodestra. 

Nessuno mi ha chiesto di dimettermi

Daniela Santanchè

Eppure sembrerebbe che la stessa Giorgia Meloni le abbia chiesto almeno una riflessione, e segnali di pressioni arrivano anche dalla Lega, anche se il partito di Matteo Salvini ha provato a stoppare queste ricostruzioni con una nota: “La lega è e resta garantista” e la vicenda che riguarda la ministra “confermerà per l’ennesima volta la compattezza della maggioranza e la piena sintonia tra i leader”. I cinque stelle sono invece felici di essere stati gli artefici del voto di sfiducia nei confronti della ministra.

E’ merito nostro se si arriva alla mozione di sfiducia

Agostino Santillo – Movimento 5 stelle

Dopo Pasqua, tra mercoledì e giovedì, dovrebbe arrivare in aula, sempre a Montecitorio, la mozione di sfiducia delle opposizioni al ministro Matteo Salvini, che riguarda i rapporti della lega con il partito Russia Unita. L’esito di questa votazione non agita affatto il governo. Ben più significative, invece, sono le fibrillazioni per la diversa strategia che in queste settimane stanno adottando il vicepremier e Meloni nella lunga corsa verso le europee di giugno. 

Salvini deve riuscire a raggiungere la soglia delle due cifre per evitare un congresso che lo metta in mora e, per raggiungere questo obiettivo, sta provando a recuperare una serie di voti di destra che Giorgia Meloni, per il suo aplomb istituzionale, è costretta a mediare alcune posizioni della destra ortodossa. Così, ieri, si sono affrontati a distanza negli studi televisivi, trovando una certa sintonia su alcune cose e profonde differenze, invece, su altre.

Entrambi piazzano un affondo di quelli che tendenzialmente sono graditi all’elettorato di destra. Meloni coglie al balzo la domanda di Mario Giordano sulle “vittime degli effetti avversi del vaccino” per il Covid “che spesso si sentono abbandonate”. “Non devono sentirsi abbandonati – la risposta – ci deve essere la “massima disponibilità da parte del governo, per andare in fondo, capire e assumersi per lo stato italiano le responsabilità che si deve assumere”. Salvini invece usa la vicenda della scuola di Pioltello rilanciando l’idea di “un tetto del 20% di alunni stranieri per classe”. 

Non sono granché dissimili i toni quando i due fanno riferimento ai magistrati. “Una certa magistratura politicizzata” fa “perdere un sacco di tempo” sulle espulsioni, l’attacco di Meloni. “alcuni che portano l’ideologia in tribunale”, l’osservazione del vicepremier, dallo studio di Bruno Vespa. 

Poi però il confronto è sulla politica europea. E lì emergono le differenze. Il leader della Lega conferma il “mai con von der Leyen”, ribadisce che “tra Macron che parla di guerra e Le Pen che parla di pace” sceglie “tutta la vita” la leader della destra francese, e conferma di volere il generale Roberto Vannacci in squadra. 

Parla di Emmanuel Macron anche Meloni, chiarendo di “non aver condiviso” le sue parole muscolari sulla crisi ucraina, e “l’ho detto anche a lui”. Più degli atteggiamenti, la linea della premier, contano i fatti: “se non molliamo, costringiamo Putin a sedersi a un tavolo delle trattative per cercare una pace giusta”. 

Infine la Russia. “A sinistra mi criticano perché respiro…per quanto riguarda il voto in Russia, hanno votato, ne prendiamo atto, non sta a me dare giudizi” taglia corto Salvini. “Lavoro e lavorerò perché si parli di pace non di guerra”, aggiunge  rimarcando la distinzione “tra chi ha aggredito e chi è stato aggredito”.  E sul tema si sa quello che hanno detto e fatto gli alleati italiani, Giorgia Meloni e Antonio Tajani, alle parole che utilizzo Salvini per il voto in Russia, risposero con posizioni nettamente diverse. 

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